Ehilà, sono tornata e (quasi) pronta alla nuova stagione autunno/inverno. Speriamo che me la cavo, come si dice in questi casi. Come avete passato le vacanze, se le avete fatte? Scrivetemi! Io, dopo un anno di ricerche sugli eroi e le eroine dei diritti umani nel Medio Oriente, ho scelto di andare nell’Asia Minore: sulle tracce della storia e della preistoria nella Turchia meno conosciuta e meno turistica. Partendo dai piedi del Monte Ararat (quello dell’Arca di Noè, per intenderci) che mi ha letteralmente stregato per la sua potente bellezza.
Ma quello che più mi ha colpito, pur avendolo preventivato, è quanto la Turchia del “sultano” Recep Tayyip Erdoğan, che pensa di poter rappresentare tutti i sunniti, abbia riportato indietro le lancette della storia. Non solo nell’Anatolia orientale ai confini con l’Iran dove le donne indossano quasi tutte il niqab, l’abaya e persino i guanti, ma in quasi tutti i luoghi che abbiamo visitato in un viaggio di 3500 km. Sulla via del ritorno ho ascoltato un libro stupendo, Atatürk addio, del giornalista Marco Guidi che racconta la Turchia dopo il “golpe” fallito del 15 luglio 2016. E, andando avanti e indietro nella storia con disinvoltura, spiega in modo avvincente il processo autoritario di reislamizzazione e ottomanizzazione condotto dal sultano-presidente. Dalle politiche interne autoritarie alle nuove moschee, alle telenovele pensate per rafforzare l’identità e la mitologia ottomana. Ma non pensavo di poter incontrare diversi uomini a spasso con due mogli né tanta chiusura. Gentili, le donne si sono fatte ritrarre e i mariti hanno dato il loro assenso (sob). E poi si sa che c’è un divario impressionante nel vedere con gli occhi quello che la mente ha già studiato: il patriarcato islamico. E nessuno dei compagni di viaggio, alcuni ignari della storia della Turchia, ha mai detto “E allora i femminicidi?” o cose sceme così. Eravamo tutti stupiti, o meglio basiti.
Abbiamo tirato un sospiro di sollievo solo in Cappadocia, meta magica del turismo internazionale, dove la nostra guida, Fatima, una donna alta e robusta, dinamica e colta che viene da Ankara, non mi è sembrata davvero consapevole dei suoi diritti, delle controversie sul Corano e della necessità di un’esegesi per attualizzarlo, ma si è dichiarata subito una peccatrice perché non indossava il velo
Non so se vi interessi un resoconto del viaggio nella culla dei primi cristiani, nell’antica capitale armena, Ani, (meraviglia); nelle città sotterranee dove si rifugiavano cristiani e Ittiti, i siti delle rovine di tutte le civiltà anatoliche che hanno composto la millenaria storia della Turchia (Paese che resta favoloso) o ancora: i resti dell’antica Hattusha, capitale dell’impero degli Ittiti (megameraviglia). Alla fine del viaggio nella mistica della storia, dopo l’ascensione in mongolfiera per vedere i Camini delle fate, mi sono ritrovata faccia a faccia nella città che più abbia amato: Istanbul. La prima volta ci sono passata nel 2006 per andare a Trebisonda e scrivere dell’omicidio di don Andrea Santoro, trafitto alle spalle al grido di Allah è grande mentre leggeva il vangelo.
E dunque come dirlo? Che delusione! Santa Sofia trasformata in moschea con l’oscuramento dell’affresco della Vergine, divieto di alcolici vicino a scuole e moschee, e in quasi tutti i ristoranti, una mostruosa gentrificazione; pressione demografica di tante famiglie che arrivano dalle province e Paesi asiatici turcofoni, tantissimi niqab sui volti delle donne e poco o niente della presenza dell’altra Turchia che combatte il “sultano”. Ho trovato un po’ di brezza europea nella Istanbul Modern progettata da Renzo Piano affacciata sul Bosforo e nel quartiere giovane di Kadıköy con qualche murales e le barbe hipster. Non ero in viaggio per lavoro e non ho potuto approfondire come avrei voluto, ma per quanto sia stata una figata attraversare in metropolitana gli abissi del Bosforo per andare nella parte asiatica, vedere davanti a un’istituzione municipale la lapide dei “martiri” che hanno difeso la democrazia turca dal maldestro golpe e un’installazione di cera di uomini che pregano rivolti alla Mecca mi ha impressionato. All’inizio del secolo breve, l’impero ottomano in via di disgregazione aveva 19 milioni di abitanti. Ora ne ha 85 milioni di cui 15 a Istanbul. E come dicono molti viaggiatori, ha perso il suo fascino cosmopolita, ma non il suo fascino che resta superbo e prepotente.
L’Europa e i suoi diritti si restringono e sono tornata molto inquieta. Ci apprestiamo a commemorare il 16 settembre l’omicidio di Masha Jina Amini e l’inizio della rivolta in Iran. Ma con quanto ottimismo se il ponte fra l’Asia e l’Europa è più che mai diventato oscurantista?