Troppi “stranieri” in classe, anzi no. La dispersione scolastica che cela un’emergenza (vera). Per anni, a settembre, si è parlato della mala gestione delle scuole dove le classi, soprattutto nei quartieri più periferici, erano diventate dei contenitori di disagio sociale. E senza un equilibrio fra i “nativi” e gli alunni stranieri sulla carta perché non nati in Italia o, spesso, appena arrivati in Italia grazie ai ricongiungimenti familiari. Per anni, a settembre, abbiamo visitato le classi dove prevalevano le comunità arabofone o latinoamericane. Per anni, a settembre, abbiamo osservato una certa incapacità del sistema scolastico di promuovere maggiore coesione negli anni più cruciali della formazione. Al netto delle eccezioni -di scuole e professori che sono riusciti a fare un buon lavoro- ora i numeri ci dicono il contrario.

Per la prima volta dal 1983/1984, primo anno delle rilevazioni ministeriali, nel 2020/2021 si è registrata una minore presenza di studenti con cittadinanza non italiana nelle nostre scuole: sono 865.388, 11.000 in meno rispetto all’anno precedente

Dietro il calo degli studenti stranieri si cela una dispersione scolastica che è la cartina di tornasole delle barriere sociali e delle diseguaglianze. Basta parlare con presidi e docenti nei quartieri più periferici delle città per capire quanto sia aumentata la povertà educativa. Succede spesso che i figli delle famiglie più a rischio non rientrino a scuola. Si perdono letteralmente per strada. E basta parlare con tutte le organizzazioni non profit che seguono i nuclei familiari impoveriti per scoprire che spesso le scuole non segnalano la loro assenza dalla scuola dell’obbligo per avere classi meno problematiche. Una regressione gravissima in uno stato di diritto che non è al centro delle agende elettorali, mi pare. Dopo la pandemia ci siamo trovati in un mondo più povero, più frastornato e più complesso. Nelle periferie le barriere sociali, una volta mobili, stanno diventando degli steccati insormontabili. La scuola fa più fatica a includere gli studenti vulnerabili. Succede per gli italiani di molte generazioni, famiglie che hanno perso reddito, cultura e speranza; succede ancora di più fra chi è straniero ed è finito sotto la soglia della povertà. Con genitori che non parlano italiano e trovano poco supporto da parte delle istituzioni che dovrebbero farsene carico.

Troppi “stranieri” in classe, anzi no. La dispersione scolastica che cela un’emergenza (vera)

Secondo le stime di Openpolis, il tasso di abbandono tra i ragazzi stranieri prima della pandemia nel 2019 era fra i più alti in Europa: 36,5. Superiore di 25 punti percentuali a quello dei “nativi” (11,3%). La povertà educativa a cui si cerca di porre rimedio con numerosi progetti sociali rappresenta una bomba sociale. Certo, la dispersione scolastica è un drammatico problema che riguarda tantissimi studenti: Nel 2020, primo anno della pandemia, in Italia il 28,9% dei bambini e dei ragazzi con meno di 18 anni rischiava l’esclusione sociale. Con una crescita di quasi 2 punti rispetto al 2019, quando si era attestata al 27,1%, ma la mancata integrazione di tanti studenti stranieri nati o cresciuti nel nostro Paese getta una luce fosca sulla tenuta educativa dell’Italia. E in questa breve campagna elettorale non ho sentito una sola promessa, anche un sola promessa, su questo tema cruciale. Mentre i candidati del centrodestra continuano con il loro refrain anacronistico sulla necessità di distinguere fra profughi e immigrati, salvo poi postare elogi per ogni atleta che ha vinto qualche medaglia e non fa niente se sono campioni arrivati su barconi- non ho sentito nessuno proporre politiche per ridurre le dis-opportunità ai blocchi di partenza. Don Milani diceva «Se si perdono i ragazzi più difficili, la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Oggi in alcune periferie sempre più degradate le scuole-ospedali sono diventati simili ai dei pronto soccorso. Fate con calma, per carità.

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