Buongiorno a tutti e a tutte. Questa settimana ho deciso di parlarvi di una fiaba nata nel pianeta che per antonomasia rappresenta l’esclusione: la galera. Recentemente ho fatto una lunga indagine sul lavoro sostenibile nelle carceri per il magazine CSRoggi. Nei 190 istituti penitenziari dove, secondo la Costituzione, la pena deve essere rieducativa ma in realtà non lo è quasi mai, tranne per alcune esemplari eccezioni, il lavoro rappresenta uno strumento fondamentale per poter dare una seconda chance ai detenuti e alle detenute e reinserirsi nella società. Ecco perché le carceri sono il luogo deputato a mettere in atto il concetto di sostenibilità sociale che sta aiutando a far evolvere il concetto di mera solidarietà (o filantropia) verso un approccio più concreto, per innescare un circuito virtuoso di economia circolare che aiuti al contempo la società a diventare più consapevole. Mi sono focalizzata sul distretto ecofashion EthicaRei che ora a Bollate ha aperto anche un’accademia, come ho scritto su Il Foglio.

Oggi vorrei raccontarvi la poesia di quel pezzo di fabbrica ricostruito nel carcere di Bologna su cui Filippo Vendemmiati ha fatto un docufilm che mescola la cultura d’impresa degli emiliani, diversi dialetti della lingua araba, il racconto del ponte interculturale e intergenerazionale che si crea fra detenuti con lunghe pene da espiare e lavoratori o sindacalisti in pensione. Si intitola Meno male è lunedì perché chi lavora teme di impazzire durante i weekend. Perciò voglio raccontarvi questa fiaba che si è creata dietro le sbarre dodici anni fa e non è ancora finita

Vi ricordo anche che il 4 aprile scorso è uscito il libro Vita e libertà contro il fondamentalismo scritto con Fabio Poletti e presto vi dirò anche dove e quando lo presenteremo.

Meno male è lunedì

Ora chiudete gli occhi e immaginatevi un pezzo di fabbrica dentro una prigione. E poi un sardonico operaio emiliano che parla in dialetto con un recluso arabo per spiegargli come leggere un disegno complesso e imparare a diventare un montatore. Un dialogo surreale che crea amicizie e legami impensabili. E un’inclusione fattiva. Fa ridere, sorridere, piangere ad occhi asciutti.

Meno male è lunedì è un docufilm diretto da Filippo Vendemmiati, girato nel capannone creato all’interno del carcere Dozza di Bologna: si tratta di un viaggio nel lavoro in carcere che rappresenta l’unica speranza cui aggrapparsi, senza restare fermi a vedere il tempo che scorre e può fare impazzire o, peggio, togliersi la vita.

Si ride, si scherza, si lavora, si discute duramente su un lavoro fatto male, si piange con gli occhi asciutti, ma soprattutto si fa squadra. Si tratta di un ritratto potente del superamento della discrasia fra la privazione della libertà e l’evasione grazie all’apprendimento del mestiere complesso del montatore. Girato in presa diretta, le scene non sono né preparate né costruite, seguendo una narrazione che alterna dialoghi a storie del passato degli intervistati. La forza delle immagini che scorrono serve a capire cosa significhi il lavoro in carcere per un progetto pilota nato nel 2012. 

L’impresa sociale FID (Fare Impresa in Dozza) è stata costituita nel 2010 dalle aziende leader metalmeccaniche nel settore del packaging a Bologna (G.D, IMA e Marchesini Group) assieme alla Fondazione Aldini-Valeriani, cui si è poi aggiunta il gruppo FAAC. La mission di FID è quella di far diventare i carcerati montatori, attraverso l’insegnamento e l’affiancamento di tutor volontari che sono operai specializzati pensionati delle aziende che si sono unite per mettere a terra il progetto imprenditoriale all’interno della casa circondariale Dozza e, al termine della pena, fornire il supporto per l’assunzione nella catena di fornitura del territorio bolognese.

L’amministratore delegato di FID è Gian Guido Naldi, già segretario della FIOM regionale Emilia Romagna che ora guida il team dei tutor volontari per aiutare i carcerati a diventare operai specializzati: sono questi i miracoli dell’economia circolare. Lui era sindacalista di una delle aziende coinvolte nel progetto e ci spiega che si viene a creare una tripla alleanza: «Fra persone libere e detenute, giovani e i tutor, cittadini italiani e stranieri. Attraverso il confronto, succedono tante cose: diventiamo amici, confidenti e li sosteniamo anche all’esterno. Diventare montatori è un mestiere complesso: bisogna imparare a leggere il disegno del progetto, montare meccanismi complicati con precisione non è un passatempo e permette ai carcerati di diventare professionisti in grado di inserirsi nel mercato del lavoro. Inoltre si creano legami profondi e poi, una volta usciti, li seguiamo affinché non si perdano nelle difficoltà quotidiane della libertà».

Nel docufilm – uscito nel 2014 e oggi sembra una profezia – si vedono i tutor nella loro generosa durezza emiliana elettrizzati, pragmatici, giocosi mentre nello scambio umano e professionale trasmettono ai detenuti lavoranti tutto quello che hanno imparato durante una vita, filosofia di vita compresa. E infatti gli apprendisti arrivano a dire che dietro una grande macchina, ci deve essere un grande montatore

Un detenuto racconta di aver fissato due alberi fuori dal carcere finché uno si è ammalato, che non vede un albero da sei anni ed è un’eternità. Un tutor dice che la testa non serve solo a segnare la distanza con le orecchie. Un detenuto dice che ha il terrore del vuoto del weekend, un tutor che gli si spezza il cuore uscire al venerdì e lasciarli in carcere ma anche di aver dato un senso alla sua vita da pensionato

«Bisogna imparare a ragionare e poi lavorare», ordina un tutor. «Non si muove foglia che il tutor non voglia», scherza un detenuto mentre un altro spiega il terrore dei weekend passati in carcere, senza lavorare. Da questa esperienza visionaria e unica in Italia, è nato nel 2023 anche un libro per riflettere su quello che accade dopo, nel disorientamento della libertà. Come vivere, dove vivere, come affrontare lo stigma; evitare solitudine e isolamento. Si intitola “La fabbrica in carcere e il lavoro all’esterno Uno studio di caso su Fare Impresa in Dozza” ed è stato curato dal dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Bologna.

FID si propone di dare ai lavoratori capacità professionali spendibili, una volta terminata la pena, per un buon inserimento lavorativo, elemento fondamentale per contrastare il rischio di reiterazione dei reati, realizzando lavori di carpenteria, assemblaggio e montaggio di componenti meccanici per le imprese socie, grazie all’assunzione con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, vincolato al termine della detenzione e pattuito con le organizzazioni sindacali di categoria, di circa 75 detenuti fin ad oggi.

Funziona così: l’istituzione carceraria richiede ai detenuti una manifestazione di interesse e poi l’area educativa fa una prima selezione, cui ne segue un’altra da parte di FID, per accedere al corso di 280 ore tra lezioni teoriche e stage in officina. Al termine i corsisti sono sottoposti a un esame attitudinale, con una commissione di docenti esterni, superato il quale si ha la possibilità di essere assunti in FID.

Per la crescita professionale dei lavoratori è indispensabile la presenza dei tutor che mettono a disposizione il loro tempo come volontari per trasmettere la loro preziosa esperienza professionale. Si tratta di consigli, suggerimenti, trasmissione di competenze e tecniche di lavorazione affinché i lavoratori capiscano la lettura del disegno meccanico e delle operazioni di montaggio.

I tutor sono portatori di un’esperienza di vita nella quale il lavoro è stato lo strumento di emancipazione e conquista della dignità e i detenuti possono beneficiare di questa esperienza, utilizzandola a loro volta nel loro percorso lavorativo dentro e fuori dal carcere.

Per FID il valore di questa collaborazione sta nell’aver fatto incontrare due culture: ex lavoratori esperti e neo-lavoratori in formazione, come “padri e figli” che si sono scambiati storie e lezioni di vita. Le figure dei tutor si sono dimostrate un tassello essenziale del progetto, poiché non si sono limitati a una formazione tecnica ma sono quasi diventati dei “maestri di vita” per persone che, pur avendo commesso un reato, si stanno impegnando per costruire un futuro migliore.

Il progetto rappresenta un’esperienza unica in Italia e sta dimostrando come, assieme all’apprendimento di un mestiere e di competenze spendibili nel mondo del lavoro, la creazione di un ambiente dove si possano sviluppare buone relazioni umane abbia un effetto trasformativo, che favorisce un migliore reinserimento nella società. Nell’ultimo anno, a supporto di questo percorso, è stato coinvolto anche un team di psicologi del centro Mood di Bologna.

Uno dei risultati misurabili più importanti del progetto è stata la drastica riduzione della percentuale di reiterazione dei reati (la percentuale è scesa da 60% a 10%) da parte di coloro che hanno seguito tutto il percorso formativo e lavorativo, fino al compimento della pena in carcere. Un numero significativo di ex collaboratori FID ora lavora in aziende metalmeccaniche dell’indotto del packaging, anche con ottimi profili di carriera.

Economia circolare: il tutor è un pensionato che torna a lavorare per permettere di creare la figura degli operai specializzati, difficili da trovare all’esterno, generando una filiera umana e professionale. Gian Guido Naldi, era infatti sindacalista Fiom prima di diventare tutor del progetto finanziato anche dall’impresa in cui lavorava. I contenuti tecnici impartiti, a cura della Fondazione Aldini Valeriani e di tutor esperti nel settore del packaging, sono finalizzati all’acquisizione delle abilità professionali necessarie per l’assemblaggio di pezzi meccanici e la costruzione di semplici componenti. I soci fondatori Maurizio Marchesini, Isabella Seràgnoli e Alberto Vacchi hanno voluto realizzare il progetto per le spiccate finalità sociali e il loro senso di responsabilità nei confronti del territorio su cui operano, con l’auspicio che numerose altre aziende possano in futuro accrescere le fila dei sostenitori FID, come avvenuto per il Gruppo FAAC. Sembra superfluo aggiungere che per entrare nel capannone della FID, c’è una lunga lista di attesa.

E ora piangete con gli occhi asciutti, guardando Meno male è lunedì.

 

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