Oussama Mansour è nato nel 1991 in Tunisia, è cresciuto a Carpi e ora vive a Bologna. Lavora come mediatore culturale e studia Antropologia. Pubblichiamo il suo secondo intervento nell’editoriale dei lettori, creato per lasciare spazio a chi ci scrive la propria opinione in modo argomentato, stimolare la discussione e la riflessione della nostra community.
Spesso al mattino mi piace dedicarmi del tempo per il mio aspetto. Perché? Narcisismo, forse. Sicuramente per l’importanza dell’apparire.
Dunque se ho la barba lunga, me la rado. Una doccia, sempre. La camicia spesso. Anche se evito di stirare.
Però la mia faccia non la posso cambiare. Nemmeno tante cose che pensa le gente. Ed io, il potere di pensar diverso delle persone ancora non l’ho ricevuto. E allora capisco.
Vado a lavorare, traduco. Sento storie di genitori che si indebitano per mandare i figli al di là del mare. Nella ghorba, che significa Occidente ma ha il suono di assenza, solitudine in terra straniera.
E ripenso allo specchio la mattina. La mia faccia da barbaro, la mia storia inusuale e a quel senso del crudo con il quale sono cresciuto.
Il montone sgozzato ogni anno in terra padana; alla specie di transumanza in traghetto che affrontavo ogni anno, alle differenze che non esistono: perché c’è qualcosa che va al disopra del semplice concetto di diverso.
L’auto che, per questi viaggi estivi verso il Paese dei miei, era piena all’inverosimile. Un bisogno di spazio e materia difficilmente immaginabile, penso ora. A ripensarci penso sia lo specchio di fame antica, di sacrifici che non erano, forse, mai abbastanza per i miei avi. E anche per i miei. Ed anche per noi nel nostro Paese. Ed oggi anche per me.
Mi prendo allora gli sguardi della gente, le perplessità. Le mie competenze che paiono spendibili solo nel sociale, limitatamente. Sento storie di minori che scappano dalla Tunisia. Alcuni di loro quando gli viene chiesto per quale motivo han deciso di andare via, si rivolgono a me in arabo chiedendomi: “Perché, tu non sai com’è in Tunisia?”. Prendo anche la paura, che è il contrario dell’amore. E faccio diventare bella la mattina, davanti lo specchio.
Sicuramente non andrò, come fanno tanti, su un palco a cercare di convincere la gente quanto io, e quelli come me, siano bravi.
Di come l’educazione avuta qui — che non ho scelto, come nessun altro
bambino — mi abbia trasformato in un bravo neg… moretto.
Perfettamente integrato, mentre gli altri, anche se ascoltano, dicono tutti che non sarà mai così.
Non ho bisogno di convincere nessuno. Nemmeno di appartenere.
Appartengo già al mio Paese, nobile. Io barbaro.