La pornografia delle immagini dalla guerra, il silenzio sulle altre vittime. Non è il giornalismo, bellezza. Bombardata dalle notizie, come tutti, faccio un’enorme fatica a distinguere la verità dalla propaganda. D’accordo c’è un aggressore e un aggredito, ma per questo non dobbiamo sorbirci dei pipponi sull’etica della resistenza fatta da tutti i divani liberal d’Italia che pure i nostri partigiani hanno detto che certi paragoni con il nazismo sono infondati. Sintesi estrema: c’è il tiranno che sfida l’occidente da anni con un suo progetto espansionista e ci sono i morti, le vittime civili, la catastrofe umanitaria, le famiglie spezzate, l’esodo di profughi; la sensazione di essere tutti in pericolo, l’empatia che diventa contagiosa e la guerra ingiusta (quella giusta è?…) che scava nel nostro inconscio. La mia quotidianità, come quella di tanti, si è appesantita e ho un macigno sul cuore. La spensieratezza ritrovata a sprazzi fra un’ondata e l’altra della pandemia è scomparsa. Ma più si va avanti e più trovo irritante la retorica bellica che non mette quasi mai in discussione tutte le informazioni che vengono dalle fonti militari dell’Ucraina, martoriata, che è entrata nei nostri cuori (quella russa non la prendiamo in considerazione, perché è filtrata dalla disinformatja). L’informazione pesa, ma non soppesa.
Al netto del coraggio, della professionalità dei tanti colleghi che in qualche caso hanno perso la vita, ho avuto un moto di ribellione quando ho visto l’apertura di tanti (per fortuna non tutti) i quotidiani che hanno pubblicato l’immagine posata di una bambina con un fucile nelle mani. Per questo ho deciso di ripubblicarla con un grande punto interrogativo perché i minorenni vanno lasciati in pace
Non devono essere bersagli delle bombe russe, assediati, uccisi ma neanche usati nella battaglia della comunicazione. La carta di Treviso prevede di porre particolare attenzione nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà ed è da sempre trasgredita, ma ora mi pare carta straccia. Forse, leggendo queste righe, penserete che si tratta di quisquilie davanti alle immagini dei bimbi uccisi dai soldati russi, ma noi dobbiamo continuare a difendere i nostri valori che ci differenziano da una dittatura (che veniva trattata coi guanti di velluto fino a venti giorni fa).
Le altre vittime della guerra che dicono not in my name
Nei tanti dibattiti che si stanno facendo per raccogliere fondi per gli ucraini, si dice sempre che dobbiamo stare attenti a non innescare la russofobia, che non si deve fare come con i cinesi che all’inizio della pandemia si dovevano guardare alle spalle nel nostro Paese e si sono messi in quarantena prima di tutti gli altri. Non vedo, però, alcuno sforzo per farli sentire meno a disagio. Oppressi dal regime e dalla sua bieca propaganda, vivono quasi mimetizzati fra noi. Per paura delle ripercussioni sui familiari in patria, certo. Eppure fra gli artisti, nelle accademie, nella società civile, fra i professionisti sono in tanti ad avere voltato le spalle al regime di Putin. E non da oggi.
Due settimane fa abbiamo raccontato lo strazio di una jazzista con doppie radici, ucraine e russe, ma è arrivato il momento di farli parlare, di inserirli nei vostri palinsesti. Non è facile, lo so. La maggior parte preferisce stare dietro le quinte, ma dobbiamo grattare la superficie perché tutti sappiano della loro profonda angoscia, il senso di colpa, la consapevolezza di essere diventati avversari dell’occidente, dei paria. A Bergamo il Conservatorio Gaetano Donizetti e il Comune hanno organizzano il 13 marzo un concerto benefico per l’Ucraina. Un’iniziativa voluta dal musicista moscovita Iakov Zats, docente di viola al Conservatorio di Bergamo e di Piacenza che ha detto «Sento come un dovere morale di fare qualcosa per le persone che soffrono». Sul palco del Teatro Sociale hanno suonato fra gli altri, i maestri russi Pavel Berman, Iakov Zats (viola), il maestro ucraino Denis Severin (violoncello), la violinista lettone Eva Bindere. Se avete letto questa notizia da qualche parte, avvisatemi. Sarei felice di essere smentita. Per questo motivo ieri sera all’assemblea di Nuove Radici, abbiamo pensato che sarebbe una cosa buona e giusta trovare il modo di far parlare le vittime della guerra di Vladimir Putin. Il cuore straziato per il popolo ucraino non deve spingerci a seguire caoticamente la corrente delle notizie terrificanti, a postare immagini senza chiederci se sia etico, a dimenticare tutte le vittime russe della guerra. È vero, ci sono migliaia di dissidenti che sfidano il regime in Russia e abbiamo trattenuto il fiato per il coraggio di Marina Ovsyannikova che ha fatto irruzione nello studio televisivo con un cartello contro la guerra e la propaganda, ma non ignoriamo anche quelle silenziose che non creano impatto emotivo. Diciamo no alla pornografia delle immagini dalla guerra e al silenzio sulle altre vittime. Non è il giornalismo, bellezza.
Ps. Sostenete la chiesa Ucraina che porta beni di prima necessità in Ucraina e Refugees Welcome Italia che porta i profughi in Italia e individua le famiglie pronte ad accoglierli.