Buongiorno a tutti e a tutte, siete sintonizzati sull’editoriale di NRW e questa settimana vi parlerò di un tema vasto come i brevi cenni sull’infinito: la gen Z.
La gen Z è come l’AI? Crea contenuti propri, senza connessione con la realtà? Sì, forse, anzi no. Difficile dare una risposta su una generazione che, per quanto problematica possa essere, è cresciuta in un contesto complicato e anche dannato.
Quando avevo vent’anni, io che sono diventata adulta fra gli Anni ‘80 e ‘90, alla mia generazione venivano fatte più o meno solo quattro domande: 1) Se prendevamo droghe e, nel caso, leggere o pesanti. 2) Se eravamo post comunisti o qualcosa di simile. 3) Il nostro rapporto con il sesso. 4) Se avevamo intenzione di laurearci anche se fuori corso. Così, tanti sono morti di overdose, tanti altri sono diventati comunisti o della sinistra de noantri fuori tempo massimo mentre la maggior parte sono andati all’estero per un anno sabbatico e non per l’Erasmus perché vivevamo anni floridi e per lavorare (o laurearsi) c’era sempre tempo. Insomma, le opportunità ci sembravano infinite: era una vita semplice e soprattutto non interconnessa
La gen Z invece, iperconnessa e politicamente sfiduciata, ha assistito nel giro di un quarto d’ora all’abdicazione di un Papa, una pandemia, una guerra in Europa ed è consapevole di essere precaria sia nell’esistenza sia nei sentimenti sia nel lavoro e/o nella realizzazione delle proprie ambizioni. Le loro reazioni sono le più disparate e imprevedibili. In poche settimane abbiamo “visto” uno studente che ha accoltellato la sua insegnante ad Abbiategrasso, il gruppo romano di TheBorderline che, per una challenge, ha involontariamente ucciso un bambino dopo avere soffiato sul rancore sociale – ostentando ricchezza e valori che però non mi paiono diversi da quelli assorbiti dalla generazione Berlusconi. E ancora: un gruppo di minorenni usavano Telegram per condividere le loro esperienze con armi ed esplosiviper gioco mentre Michelle Causo, 17 anni, è stata uccisa a Primavalle da un suo coetaneo.
Cosa sappiamo della gen Z
La gen Z, cioè i nati tra il 1997 e il 2012, viene spesso criticata per l’eccessivo uso della tecnologia e dei social media che, secondo i sempre-esperti, potrebbe influire negativamente sulla loro capacità di socializzazione e sulla loro salute mentale. Inoltre, altri sempre-esperti sostengono che gli adolescenti della gen Z abbiano difficoltà a comunicare e relazionarsi con il mondo reale. E siano insomma simili all’intelligenza artificiale: velocissimi a immagazzinare innumerevoli informazioni in modo autonomo ma troppo sconnessi dalla realtà per elaborarle in modo articolato. Con la tendenza a cercare gratificazione immediata e a ottenere risultati rapidamente, senza dedicare il tempo e lo sforzo necessari per raggiungere i propri obiettivi e quindi fragili davanti alle difficoltà.
Ma è vero? O meglio: sono solo questo? No, perché la generazione Zeta ha competenze preziose per il futuro di tutti. Spesso duttile nel lavoro di squadra e nella collaborazione. Inoltre è attenta alla diversità e all’inclusione: per chi è cresciuto nel terzo millennio è naturale apprezzare le differenze culturali e di genere e lavorare in ambienti multiculturali. Attivisti digitali, i ragazzi e le ragazze (no, niente schwa, sorry) si sono spesso trasformati in testimonial delle minoranze di genere, orientamento sessuale ed etnico. Interpretando i canoni (ma anche i dogmi) della società fluida, sono spesso in prima fila nella battaglia per i diritti della comunità LGBTQ+ e la difesa dell’ambiente.
È vero che non hanno voglia di lavorare, come sostiene la vulgata?
La gen Z è spesso accusata di preferire lo scialo dell’esistenza al sacrificio del lavoro, ma questa affermazione non è supportata dai dati. Secondo il rapporto Global Gen Z and Millennial Survey 2023 di Deloitte, in Italia la maggioranza dei lavoratori delle nuove generazioni lascerebbe la propria occupazione se fosse costretta a tornare in ufficio a tempo pieno. Per un migliore equilibrio vita-lavoro, il 39% della gen Z vorrebbe la settimana lavorativa di 4 giorni, mentre per quasi otto su dieci, il tema della salute mentale è fondamentale quando si cerca lavoro.
Molti cercano un impiego gratificante per cui hanno studiato, oltre a un salario competitivo. Altrimenti rinunciano perché non sentono il dovere di lavorare a tutti i costi. Morale: vogliono un’occupazione che sia in linea con i propri valori e interessi
La cantante Billie Eilish, nata a Los Angeles il 18 novembre 2001 nell’anno dell’attacco alle Torri Gemelle, è considerata una delle icone musicali della gen Z. La sua canzone Therefore/I am si ispira alla nota citazione di Cartesio “Penso, dunque sono”. Il brano è nato come risposta della cantante ai diversi attacchi di body shaming di cui è stata vittima, dopo aver postato alcune foto che la ritraevano in canotta e pantaloncini.
Malala Yousafzai è sopravvissuta a un primo attentato nel 2012, quando un militante estremista, Ehsanullah Ehsan, le spara un colpo d’arma da fuoco alla testa mentre stava salendo sullo scuolabus. È stata la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 2014.
E in Italia? Skuola.net insieme al giornalista e autore televisivo Federico Taddia ha intervistato 30mila ragazzi tra i 12 e i 17 anni, su dodici temi: amicizia, amore, corpo, credo, felicità, futuro, impegno, passioni, paure, rabbia, rivoluzioni, social. Le loro storie sono diventate (De Agostini): più che un libro un atlante per orientarsi nell’universo gen Z, utile soprattutto ai “grandi” per capire davvero le nuove generazioni, senza sconti ma anche senza pregiudizi.
Emma González aka X González, origini cubane, è la 24enne sopravvissuta alla strage del liceo Parkland nel 2018 che è diventata un’attivista contro l’abuso delle armi negli Usa e la violenza della polizia. Nel 2018 ha organizzato con i suoi compagni di classe un’oceanica March for life (marcia per la vita).
Queste sono alcune delle migliaia di storie della gen Zeta che non sono finite nelle cronache per atti di vandalismo, violenza, insostenibile leggerezza dell’essere e disconnessione dalla realtà. Capire e descrivere un’intera generazione che è cresciuta in un secolo storto è un’impresa difficile, ma necessaria. La gen Z è come l’AI? Crea contenuti propri, senza connessione con la realtà? Sì, forse, anzi no.
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