La (ri) partenza dell’iter della legge sullo ius culturae ha suscitato nuovamente molte aspettative e messo in moto molteplici iniziative fra i cittadini stranieri e attivisti con background migratorio. Il presidente della commissione Affari Costituzionali, il pentastellato Giuseppe Brescia, ha ereditato il testo di legge dal suo predecessore, Roberto Speranza, diventato ministro e ora, da relatore, deve armonizzare tutti i progetti di legge. Sono già iniziati alcuni incontri informali con associazioni di cittadini stranieri e non, ma di fatto si riparte da capo. E vi diamo una notizia: la discussione in commissione entrerà nel merito a gennaio del prossimo anno e non sarà serena neanche fra gli alleati, come si evince dalla prima seduta della commissione il 3 ottobre scorso. Tenetelo a mente, prima di iniziare la rissa. Si riparte a gennaio del 2020.
Speriamo che, al netto delle buone intenzioni e la speranza di smussare i toni, non si riproponga un dibattito al cianuro con bluff finale. Altrimenti il prezzo sarà salato. Anche perché i nuovi italiani con cittadinanza che voteranno alle prossime elezioni saranno un numero abbastanza consistente, sebbene i loro orientamenti elettorali non siano mai stati analizzati dai sondaggisti.
La deputata Pd Lia Quartapelle è ottimista: «Mi auguro sia l’inizio di un percorso che regolamenti diritti e doveri degli stranieri con un testo unico sull’immigrazione», ci ha detto. Nel frattempo Simohamed Kaabour, presidente del CoNNGI, il coordinamento delle nuove generazioni italiane che riunisce oltre 31 associazioni, ha già espresso alcune considerazioni che vi saranno sicuramente sfuggite.
Dicono che non c’è bisogno di una riforma perché la cittadinanza è una scelta e che l’iter è semplicissimo. L’iter non è affatto semplice, i tempi lunghi sono causa e conseguenza di deviazioni importanti nella vita di chi nasce e/o cresce in Italia. Senza cittadinanza, requisito fondamentale per accedere ad alcuni ruoli professionali, si è costretti a scegliere altro rispetto a quanto si desidera, a quanto si ambisce. Ci ripetono che la cittadinanza è una scelta per cui abbiamo tutto il tempo di maturarla, ma dimenticano che senza la cittadinanza non si ha la possibilità di scegliere.
Così come è già partita una petizione di quelle che pesano perché a farla è stato Foad Aodi, presidente di Amsi, associazione medici stranieri in Italia. L’appello coglie il punto: «progettare l’integrazione significa governare la complessità politica, economica, culturale e sociale dell’intero Paese». E senza la cittadinanza che permette ai medici di operare negli ospedali pubblici e a tutti giovani e adulti di partecipare alla vita politica e sociale, di entrare nelle istituzioni, non è possibile.
Perciò un’altra frustrazione delle aspettative provocherebbe un ulteriore scollamento fra le nuove generazioni di italiani dalla politica che fino ad ora non ha saputo trasmettere consapevolezza ai cittadini né aiutarli a scindere il tema migratorio dalla crescita demografica, culturale ed economica dei nuovi cittadini. E il prezzo potrebbe essere salato, non solo alle urne. Provocherebbe una frattura sociale e aumenterebbe il numero di expat anche fra i figli degli immigrati (la fuga comunque è già iniziata), dopo aver investito sulla loro formazione, compresa quella universitaria. E a chi teme la sostituzione etnica, forniamo un dato: i nati in Italia da genitori stranieri nel 2018 rappresentano il 15% delle nascite e sono stati il 3,7% in meno del 2017. Attenzione quindi, niente bluff stavolta.
A proposito di integrazione e di cittadinanza, annunciamo un nuovo evento, organizzato da Altro Pallone onlus, sensibile al tema dello ius sportivo. NuoveRadici.World parteciperà come media partner e presto vi racconteremo cosa accadrà.
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