Io Capitano era un film giusto da fare più che un capolavoro da Oscar. L’ho pensato quando l’ho visto e lo penso ancora di più ora che ancora una volta in Italia, davanti a un mancato riconoscimento, arriva la polemica con annesse idiozie. Nella sua recensione, Elisa Mariani aveva scritto :«Matteo Garrone in conferenza stampa ha presentato Io Capitano come il racconto dell’Odissea contemporanea dei migranti. Ma più che con Omero il confronto che viene in mente è con La vita è bella. Ad accomunare i due film è l’idea di partenza: trovare un modo inedito ed efficace di raccontare qualcosa che lo spettatore conosce nella sua portata storica ma sul quale è difficile gettare lo sguardo perché si tratta di guardare l’abisso».
Si può descrivere cosa accade in un campo di concentramento senza mostrare la ferocia? Sì, ma ne uscirà un racconto nel racconto, il cui destinatario è un bambino a cui deve essere resa sopportabile l’esperienza. Si può far vedere allo spettatore occidentale che cos’è il viaggio dei migranti verso Europa, Libia compresa? Sì, riprendendo l’archetipo del viaggio dell’eroe, un eroe maschio di appena sedici anni, cosa che permetterà di escludere dal raggio della telecamera ciò che non si vuole o non si può raccontare
Si tratta di un’interpretazione convincente perché le scene crude ispirate a quanto accade nei ghetti libici, dove i migranti subsahariani diventano schiavi da torturare con atroci vessazioni, si intrecciano con elementi onirici, diversi stereotipi sul Senegal e i migranti che però aiutano a rendere sopportabile la visione della storia che è ispirata a un fatto reale. il viaggio di Seydou e Moussa è anche raccontato come un’avventura verso la maturità e la consapevolezza, la famosa Linea d’ombra di Joseph Conrad di due ragazzi che vogliono crescere a modo loro, a dispetto dei rischi a cui vanno incontro.
Io Capitano ha una trama che deve poter essere capita da una platea più ampia, che possa essere spiegata anche ai più giovani. Ed è comprensibile perché non si tratta di un documentario ma di una fiction che riesce a coinvolgere lo spettatore, a trasmettergli il messaggio sulla responsabilità che abbiamo tutti su quanto accade lungo le rotte migratorie. E infatti chi conosce il tema si interroga sull’assenza nella trama delle vittime femminili, stuprate e seviziate che spesso arrivano in Italia e in Europa gravide per gli abusi subiti. Detto questo, un film va valutato per il suo valore artistico. E la vittoria per il miglior lungometraggio internazionale La zona di interesse, non è stata ottenuta perché dovevano “vincere gli ebrei”, come ha detto con una sparata italica il co-sceneggiatore Massimo Ceccherini (che poi si è scusato della frase infelice) ma perché è un capolavoro.
Ispirato a un libro altrettanto urticante di Martin Amis, La Zona d’interessesferra pugni e calci a chi lo guarda per fargli capire fino a che punto la banalità del male può essere atrocemente banale. La storia della famiglia che vive a poche decine di metri dal recinto elettrificato di Auschwitz, immersa nella propria quotidianità che vorrebbe essere quella di una comunità ariana e felice circondata da un giardino di peonie è davvero devastante e si fa fatica ad arrivare alla fine perché, a differenza di Io Capitano, è una storia insopportabile. Inoltre la vittoria di La Zona di interesse ha portato sul palco il tema della guerra in Medio Oriente. Il regista britannico ed ebreo, Jonathan Glazer, ha parlato della disumanizzazione, condannando l’occupazione dei territori palestinesi
Tutte le nostre scelte sono state fatte per riflettere e confrontarci nel presente. Non per dire: ‘Guarda cosa hanno fatto allora’, ma piuttosto: ‘Guarda cosa facciamo adesso’.
https://www.youtube.com/watch?v=kju3BqC1zOQ
Mi auguro che il film di Matteo Garrone venga portato nelle scuole, diffuso in ogni dove perché tutti sappiano cosa significhi migrare e attraversare il deserto del Sahara. Considero Io Capitano un’operazione culturale molto significativa e ammirabile, ma un capolavoro è tale se ti apre un buco in testa e ti porta davvero lontano dalla comfort zone, dentro l’abisso. E la Zona d’interesse non mostra mai l’abisso. Lo senti, ma non lo vedi. Lo immagini, anzi lo devi immaginare attraverso i suoni, i segni, le tracce. Ed è terrificante quanto geniale vedere in questo modo la disumanizzazione. Ecco perché ha vinto, il resto è noia.