Qualche settimana fa un’amica, insegnante, mi ha chiesto suggerimenti su come aiutare una ragazza che si è confidata a scuola perché era stata minacciata dal padre che voleva costringerla a un matrimonio forzato. La preside ha preso subito provvedimenti per aiutarla. Lei è un’adolescente, figlia di una coppia bangladese, come lo era Mithila Akter, che si è gettata dal balcone di casa ed è morta per un trauma cranico, come stabilito dall’autopsia effettuata il 3 novembre scorso. Il padre è indagato, dopo che la Procura di Ancona ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. Pare che fosse turbata da una visita ginecologica. Mithila non ha lasciato alcun biglietto né tracce sui social ma a convincere il pubblico ministero che indaga sulla morte di una ragazza cresciuta in Italia è stata un’assistente sociale che ha rivelato: «Era preoccupatissima perché i genitori la volevano portare in Bangladesh per tre mesi. Aveva paura di non terminare l’anno scolastico». Ora che si avvicina la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e bisogna fare i conti con il numero record dei femminicidi – 100 nel 2023 – mi chiedo come mai ci siano poche associazioni delle nuove generazioni di italiani e italiane a occuparsi del fenomeno sommerso dei matrimoni forzati su cui ci sono pochi dati e indagini datate da parte delle istituzioni. E infatti, ad alzare la voce sull’aumento delle violenze è stata ancora una volta solo Ebla Ahmed, italo-anglo-yemenita, presidente dell’associazione interculturale Senza veli sulla lingua: la prima a denunciare che Saman Abbas avrebbe potuto essere salvata. Impegnata nella formazione e prevenzione della violenza anche nelle scuole, ha partecipato al tavolo tecnico della commissione Giustizia della Camera per rafforzare il Codice Rosso che spesso non funziona: «In teoria, la donna che denuncia deve essere ascoltata dal magistrato entro tre giorni, ma talvolta passa anche un anno e nel frattempo non scattano le misure cautelari per proteggerla. Ora, sempre in teoria, può essere ascoltata anche dal questore».
Ci vogliono più informazione e formazione, educazione sentimentale nelle scuole per prevenire i matrimoni forzati: le denunce aumentano mentre diminuisce l’età delle ragazze che spesso hanno 14-15 anni. E non sono solo pakistane o bangladesi, ma anche indiane, albanesi e marocchine. Bisogna perciò allargare la rete di protezione per evitare nuovi fallimenti educativi nelle famiglie, nelle scuole, nella società
La maggior parte delle donne che si rivolgono agli sportelli “imboscati” dell’associazione Senza veli sulla lingua per evitare che si sappia che le donne o le minorenni hanno chiesto aiuto, sono italiane ma sono sempre più numerose le ragazze di seconda generazione. «A differenza delle italiane che talvolta tornano dal compagno o marito violento, le vittime con background migratorio, quando voltano le spalle alla famiglia e alla propria comunità, arrivano fino in fondo ma solo se sono seguite e sostenute da un valido supporto psicologico. Ci è voluta anche la legge Saman per includere il matrimonio forzato, già vietato dal Codice Rosso, nell’elenco dei reati che prevedono il rilascio del permesso di soggiorno alle vittime di violenza domestica. L’abbiamo voluta perché questa norma avrebbe salvato Saman Abbas», osserva Ebla Ahmed, convinta che le leggi non bastino, senza prevenzione e formazione.
La formazione e la prevenzione devono essere fatte ovunque. Nelle scuole, fra gli addetti ai lavori e nei luoghi di culto. Anche nei templi induisti e nelle moschee, spiega Ebla Ahmed, dove si devono preparare le guide religiose a individuare le violenze, le segregazioni e le istigazioni ai matrimoni forzati. Formazione, formazione e ancora formazione perché «dove c’è cultura, c’è più libertà e meno violenza», conclude la presidente dell’associazione Senza veli sulla lingua che il 17 novembre ha organizzato una giornata di studio sul Codice Rosso.
Sebbene fra le nuove generazioni cresca la consapevolezza della necessità di intervenire per evitare che altre adolescenti, come Mithila, si gettino nel vuoto, ci sarebbe bisogno di altre associazioni, altre donne che alzino la voce per prevenire le violenze e i matrimoni forzati. E invece c’è ancora un velo di silenzio che si deve sollevare per favorire l’emancipazione delle adolescenti prigioniere della loro famiglia e del proprio terrore.