Satnam Singh, il bracciante ucciso dalla schiavitù dopo essere stato abbandonato in strada a Cisterna di Latina con un braccio amputato, è purtroppo soltanto uno dei tanti volti della disumanizzazione. L’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, che da anni monitora il fenomeno del caporalato e delle agromafie in Italia, parla di una piaga che coinvolge circa 230mila lavoratori nelle campagne italiane. Singh, un cittadino indiano, in Italia da circa 3 anni, guadagnava 4 euro all’ora e lavorava senza contratto come bracciante fino a 12 ore al giorno. Davanti a un episodio così grave, non servono i leciti giudizi indignati né troppi aggettivi: ci vogliono fatti, leggi da rispettare e da correggere. E soprattutto contratti. Right now! Anche perché la schiavitù nei campi è nota da anni e la legge contro il caporalato non sembra averla contrastata. Questa settimana l’editoriale lo scrive Irene Pavlidi, vicepresidente della nostra associazione Nuove Radici, consulente legale e immigrazionista, per spiegarvi le distorsioni delle leggi e cosa dovremmo fare per non essere un Paese razzista nei confronti dei lavoratori stranieri.
Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il contrasto allo sfruttamento e al caporalato rappresenta una delle priorità politiche del Governo. Sebbene sia noto che il fenomeno, diffuso su tutto il territorio nazionale, sia caratterizzato dalla violazione di disposizioni in materia di orario di lavoro, salari, contributi previdenziali, diritti, salute e sicurezza sul luogo di lavoro, trattamento dignitoso e rispetto delle norme sull’immigrazione.
In questi ultimi anni la regolamentazione del lavoro stagionale dei cittadini stranieri in Italia è stata oggetto di interventi volti a semplificare l’ingresso e la regolarizzazione, con l’obiettivo di accelerare i tempi di ingaggio. Credo sia doveroso ricordare che l’ultima “mini sanatoria” approvata dal Governo italiano nel 2020 – in concomitanza con la diffusione della pandemia – ha riguardato esclusivamente il settore del lavoro stagionale e del lavoro domestico. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nell’estate del 2020 furono inviate 30.694 domande per il lavoro stagionale (agricoltura e pesca): solo il 15% del totale delle richieste. La maggior parte arrivarono da Campania (6.962), Sicilia (3.584) e Lazio (3.419), Caserta (2.904), Ragusa (2.005) e Latina (1.897). I datori di lavoro erano prevalentemente italiani (28.013).
Volendo allargare lo sguardo, il lavoro stagionale ricopre una fetta importante delle quote di ingresso dedicate annualmente ai cittadini stranieri. L’ultimo decreto flussi, con programmazione triennale (2023-2025) ha previsto un numero altissimo di quote dedicate a questo settore. Molte meno per il lavoro subordinato tout court, pochissime per il lavoro domestico. A questo dato si deve aggiungere l’introduzione del governo Draghi della semplificazione nelle procedure in capo alle prefetture (e agli uffici dell’Ispettorato del lavoro e dell’Inps).
In buona sostanza le domande sono fondate sulle autocertificazioni dei datori di lavoro riguardo alla sostenibilità della loro azienda che deve garantire un trattamento equo ai lavoratori stranieri che fanno i lavori che pochi italiani vogliono fare a meno di essere davvero disperati. Vi abbiamo già raccontato su NRW quanto complessa sia la semplificazione, per usare un giro di parole.
Il sistema delle “asseverazioni” da parte di professionisti, enti o organizzazioni accreditate, che delega all’azienda l’onere di autocertificare il possesso dei requisiti di capacità economica e regolarità contributiva, da un lato paralizza i datori di lavoro e i professionisti onesti e dall’altro favorisce le aziende più strutturate o, peggio, la criminalità organizzata
A dirlo non siamo noi ma la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che nel corso dell’informativa tenuta durante il Consiglio dei ministri il 4 giugno scorso ha dichiarato: “I flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati come canale ulteriore di immigrazione irregolare“. E ha aggiunto: “La criminalità organizzata si è infiltrata nella gestione delle domande e i decreti flussi sono stati utilizzati come meccanismo per consentire l’accesso in Italia, per una via formalmente legale e priva di rischi, a persone che non ne avrebbero avuto diritto, verosimilmente dietro pagamento di somme di denaro (secondo alcune fonti, fino a 15.000 euro per ‘pratica, ndr)”.
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Vi voglio raccontare la storia di Paul, giovane filippino di 30 anni che è emblematica. Già lavoratore imbarcato sulle navi da crociera, con un bambino di 3 anni ed una compagna nelle Filippine. Tramite una zia, residente in Italia da anni, riesce a trovare un cittadino straniero che gli fa da tramite per ottenere un’offerta di lavoro nel Bel Paese. Nelle Filippine la trattativa è gestita da una connazionale che con il pagamento di 6mila euro garantisce a Paul un visto di lavoro per fare ingresso in Italia grazie ai flussi del 2023. Paul arriva in Italia a fine aprile di quest’anno. Ce l’ha fatta, pare. E invece no. Chi lo ha messo in contatto con l’azienda agricola nella provincia di Brindisi, che ha inviato la richiesta per un’assunzione di nove mesi, gli chiede altri 6mila euro per poter concludere il contratto di lavoro con l’azienda e ottenere il permesso di soggiorno. Passano mesi e non è facile indebitarsi per altre somme così ingenti. Intanto Paul si arrangia con lavoretti in nero e manda qualche soldo a casa, teme un controllo della polizia senza sapere bene cosa poter dire, si appoggia ai familiari e alla sua comunità.
Non ho idea di cosa possa passare per la sua mente. Anche se ottenesse un permesso di soggiorno grazie all’assunzione di una ditta stagionale onesta che subentrerebbe a quella che lo ha portato in Italia, il permesso sarebbe comunque temporaneo e durerebbe al massimo 9 mesi. Questo tipo di permessi infatti possono essere rinnovati solo tramite l’assegnazione di una quota nel prossimo decreto flussi (che ragionevolmente sarà a febbraio 2025, chissà?). Altro giro di roulette. Il tutto senza sapere una parola di italiano
Sono tanti i lavoratori stranieri che vivono la stessa condizione di sgomento per essere arrivati in Italia senza sapere bene quale sarà il loro destino a causa di questa distorsione della legge che fa un uso improprio del sistema dei flussi di ingresso. Era prevedibile questo risultato?
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Un’attenta analisi degli strumenti e delle risorse impiegate ad oggi dal Governo per supportare e vigilare sulla “semplificazione” in questi processi così delicati, dovrebbe essere affrontata seriamente, invece di ricorrere alla retorica della finta indignazione o alla totale indifferenza verso la schiavitù nei campi e i diritti negati ai lavoratori stranieri. Altrimenti ha ragione la moglie di Satnam Singh che ha detto “Il vostro non è un Paese buono”.
Irene Pavlidi