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Altro che Tolo Tolo, il film di Checco Zalone che ha creato un dibattito lunare soprattutto fra gli afroitaliani. Mi ha irritato molto di più un recente editoriale dell’ex direttore del Corrierone che è solo in apparenza politicamente corretto. Con un cerchiobottismo che un nostro collaboratore ha sintetizzato in modo ironico così: «C’è l’invasione degli africani, dobbiamo trattare».

Il suo messaggio è subliminale, ma riporta una serie infinita di stereotipi che danneggiano ogni tentativo, tenace nel nostro caso, di fare un’informazione adeguata allo Zeitgest, lo spirito dei tempi.

Ferruccio de Bortoli apparentemente parte bene, rimarcando quanto siano commoventi le immagini dei primi nati nel 2020, quasi tutti figli di stranieri, ma poi scrive tutte quelle cose che nello scorso editoriale ci siamo augurati di non leggere più nel 2020. Niente da fare, non se ne esce. L’ex direttore ammette di vivere la contraddizione di temere l’immigrazione irregolare (lui la chiama disordinata per edulcorare il linguaggio) e averne razionalmente bisogno. 

E su quello che è ancora il primo giornale italiano (ancora per poco, temo, se continua a pubblicare analisi avulse dalla realtà) gli immigrati vengono descritti come fonte di manodopera che servono per i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Un refrain che andava bene 20/30 anni fa.

Scoprire di essere minoranza italiana nel vagone della metropolitana di una nostra città può suscitare un senso incontrollabile di estraneità. Normale. Lo scacciamo per buona educazione.

Nessuna riflessione sul melting pot che invece dovrebbe essere normale. E invece continua con un mantra ispirato all’utilitarismo: «Il ritardo costante e la mancata programmazione del decreto flussi non facilitano il reperimento di manodopera».

Nessuno gli ha detto che ci sono quasi 3 milioni figli dell’immigrazione che sono cittadini italiani, di cui diverse migliaia di adulti che fanno (e talvolta con maggiore competitività) i lavori che gli italiani non sanno più fare?

Medici, ingegneri, imprenditori, insegnanti, artisti, incubatori di startup innovative. Altro che badanti, unica categoria di lavoratori presa in considerazione nell’editoriale (sic). La sua analisi ritrae un’Italia vecchia, non un Paese per vecchi. Non ancora sazio di stereotipi, sostiene che ci vuole qualche riflessione in più, pacata e non strumentale, sul tema dell’immigrazione, ma conclude dicendo che una società multietnica è inevitabile. 

Una società multietnica è inevitabile? Ma l’Italia è GIÀ una società multietnica, composta da incroci culturali di cui evidentemente non è consapevole.

Non prende in considerazione (santa pazienza) i nuovi italiani, usciti dalle statistiche, e conclude con un’affermazione involontariamente semisovranista: «Bisogna solo scegliere se governarla (l’immigrazione) o semplicemente subirla». Non si chiede se sia un processo naturale che non va subito ma semmai compreso con tutte le sue sfumature. E invece stiamo qui a menarcela con Checco Zalone. Tolo Tolo non mi ha indignato, questo editoriale invece mi fa venire voglia di alzare bandiera bianca. Mi consola però che, dopo un breve sondaggio, siano stati in pochi a leggerlo.

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