«Sono per la chirurgia etica: bisogna rifarsi il senno». Questa frase straordinaria è dello scrittore Alessandro Bergonzoni. Pronunciata in tempi non sospetti in un video per protestare contro la chiusura di un (solo) teatro. La trovo molto attuale perché spiega con ironia la “cura” di cui tutti sembriamo aver più che mai bisogno oggi.
Il nuovo coronavirus fa saltare gli schemi e modifica i codici di comportamento. Pochi giorni fa dal medico ho rivisto un’anziana signora, che prima parlava solo dei nipoti e altre amenità quotidiane, discettare sulla grave situazione in Siria.
Davanti a tanti di questi piccoli esempi dentro e fuori dalla zona rossa, ho ceduto anch’io alla speranza di vedere una maggiore empatia verso le tragedie sparse nel globo che gradualmente si restringe. Poi, certo, ci sono la politica nazionale ed europea che non sanno mai affrontare un’emergenza. Come quella in corso in Grecia, dove i centri di accoglienza sono al collasso sulle tre isole di maggior approdo, mentre il sultano Erdogan brandisce la mazza per ricattare l’Unione europea perché è in difficoltà in Siria e teme una nuova ondata di profughi.
Manca solo il meteorite (avvistato pure quello) e possiamo stare sereni. Sarcasmo a parte, voglio spiegarvi perché davanti all’ulteriore chiusura dei confini lungo la rotta balcanica, dove migliaia di migranti vengono respinti, maltrattati, picchiati e imprigionati, questa settimana la nostra informazione si è focalizzata meno sui nuovi cittadini italiani per parlare del dramma dei profughi.
La nostra priorità in Grecia è preservare l’ordine ai confini esterni dell’Ue. Sono queste le parole pronunciate due giorni dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a Kastanies, un piccolo paesino greco a meno di un chilometro dal confine con la Turchia.
Le Nazioni Unite temono che si riproponga lo stesso esodo del 2015/2016 che in Italia abbiamo risolto a modo nostro: facendo passare i profughi siriani diretti in Germania e in Nord Europa, senza identificarli, per aggirare i vincoli del trattato di Dublino. Da allora il vecchio continente è cambiato, il populismo si è diffuso come una pandemia e abbiamo voltato la faccia davanti a tutte le emergenze umanitarie: dalla guerra in Siria ai centri di detenzione e tortura in Libia. I migranti sono rimasti solo come una sagoma indistinta: arma per un dibattito surreale e di ricatto (geo)politico.
Ora che però viviamo sulla nostra pelle la paura di non poter muoverci dalle nostre case, di muoverci liberamente in Italia e fuori dai nostri confini, forse tornerà quella empatia, quel contagio di natura emotiva che ho visto per anni nei porti siciliani?
In Italia si sta creando un tam tam per sostenere in diversi modi l’accoglienza dei migranti in Grecia, dove è stato persino sospeso il diritto all’asilo. Succedeva anche prima, la solidarietà non è mai stata messa in quarantena per fortuna, ma ora se ne può parlare senza essere insultati o venire sovrastati da urla astiose.
È giunta l’ora per la chirurgia etica, bisogna rifarsi il senno. E questo vale sia per il panico da coronavirus sia per una eventuale emergenza migranti che non resterà a lungo confinata in Grecia.
Rifacciamoci il senno, prima che sia troppo tardi. Da qualche parte dobbiamo ripartire per ricontestualizzare la Weltanschauung. Cercando, nei limiti del possibile, di non lasciare indietro nessuno.
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