Ci sono diritti e diritti e questo lo sa chiunque. Ma la storia parallela di due giovani donne iraniane vittime di un accanimento giudiziario in Calabria pare troppo storta per non segnarla. In estrema sintesi: c’è un’attivista di cui avrete forse sentito parlare perché ha dovuto patire dieci mesi prima di essere scarcerata e perché la sua vicenda è stata seguita da attiviste, politici, ripresa, amplificata. Ed è andata persino nella trasmissione Lo stato delle cose di Massimo Giletti il 28 ottobre scorso dove pareva assai costernata davanti alle domande inopportune del conduttore (della serie “lei ha ancora un sogno?” e altre cose indigeste). Si chiama Maysoon Majidi ed è una regista e attrice curda, accusata di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, di essere scafista insomma. Il tribunale di Crotone l’ha rimessa in libertà martedì 22 ottobre, deve ancora attendere l’esito della vicenda giudiziaria me nel frattempo è diventata un simbolo del riscatto dalla giustizia ingiusta. E poi c’è Marjan Jamali, una donna iraniana di ventinove anni che è stata accusata anche lei di essere scafista da tre migranti iracheni che l’avrebbero molestata pesantemente durante il viaggio. Non l’avete vista quasi da nessuna parte perché è ancora agli arresti domiciliari con il figlio e non è diventata un caso mediatico perché pochi si sono mossi per lei che ha le labbra a canotto e fuggiva dalla violenza domestica più che dalla repressione del regime iraniano. O almeno questo sostiene il suo avvocato, Giancarlo Liberati, che difende entrambe.
Marjan Jamal è in attesa del processo in corso al Tribunale di Locri. Faceva parte di un gruppo di circa cento persone, soccorse dalle autorità italiane nell’ottobre scorso mentre si trovavano a bordo di una barca a vela al largo delle coste calabresi. Insieme al figlio è fuggita dalla violenza domestica. A due giorni dallo sbarco nel porto di Roccella Jonica, è stata arrestata con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare per delle dichiarazioni di tre uomini iracheni – poi spariti – che si trovavano con lei sulla barca. Ora si trova a Camini, nel centro di accoglienza del piccolo centro dell’Alta Locride, dove sono attivi i progetti Sai per stranieri. E questa foto che vedete del suo abbraccio con il figlio non è diventata virale.
Chi ci legge sa benissimo quanto mi sia sempre spesa per difendere le iraniane che si ribellano contro i mullah e il patriarcato. Però qualche domanda dobbiamo farcela se lei è gradualmente scomparsa dagli appelli, dalla mobilitazione e pare sia diventata un’ingiustizia minore. Cosa c’è che non va in lei? Non vi basta che sia stata doppiamente vittima di violenza e sia arrivata in Italia su una barca? L’avvocato Liberati ha denunciato un clima da caccia alle streghe perché all’ultima udienza una testimone l’ha rimproverata di non essere una brava madre. E non si capisce l’accanimento giudiziario verso di lei che è stata persino portata in una struttura psichiatrica, trasferita nel febbraio scorso dalla prigione di Reggio Calabria al reparto psichiatrico del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto senza che fosse avvisato il suo difensore, come ha denunciato una giornalista attenta ed onesta, Angela Nocioni su l’Unità.
Il 16 dicembre ci sarà la prossima udienza per Marjan e, sebbene siamo tutti contenti della decisione del Comune di Riace di conferire la cittadinanza onoraria all’attivista curda Maysoon Majidi, è evidente che questo doppio caso giudiziario riassume tutti i mali delle politiche migratorie (indagini fatte male, interpreti che non capiscono e travisano le parole delle deposizioni, testimonianze poco attendibili e de relato e un incomprensibile accanimento giudiziario) ma ci dice anche qualcosa d’altro sulla difesa dei diritti umani che ha due pesi e due misure. Nel mese delle rituali proteste contro la violenza sulle donne, amplifichiamo anche la voce di Marjan Jamali, scappata da un marito violento che aveva tentato di ucciderla. Agli arresti domiciliari, ora deve dimostrare di essere innocente dalle accuse di chi l’avrebbe molestata sul viaggio che doveva portarla verso la fragile libertà italiana.