È facile dire restate a casa, ma cosa diciamo a chi una casa non ce l’ha? Dopo settimane in cui l’informazione si era trasformata nella cinghia di trasmissione delle istituzioni centrali e locali per responsabilizzare (e anche colpevolizzare) i cittadini e obbligarli a restare a casa, ora si comincia a sbirciare oltre la linea di emergenza, esclusivamente sanitaria/securitaria.
E si guarda (era ora) anche verso chi una casa non ce l’ha: i senza dimora, italiani e stranieri che stanno aumentando per e con il Coronavirus.
Persone che, nella prima fase del lockdown, sostavano vicino ai ristoranti e ai bar per fare l’elemosina ma anche per avere un contatto che permettesse loro di sopravvivere. Senza capire bene come mai il mondo si stesse svuotando. Sono loro, gli italiani e stranieri senza fissa dimora, le prime vittime collaterali della pandemia con cui dovremo fare i conti dopo la riapertura del Paese.
Si calcola che in tutt’Italia siano 50mila, ma sono stime sottovalutate e destinate ad aumentare. Si tratta di italiani, ma anche di stranieri che lavorano alla giornata e in nero o sono usciti dal sistema di accoglienza per migranti.
Perciò abbiamo deciso di sposare la battaglia di Sant’Egidio che ha riorganizzato le mense, diventate gli unici luoghi dove i senzatetto possono mangiare e sostare durante il giorno. Ovviamente a distanza.
Sono aumentati anche i volontari che hanno dato la propria disponibilità ad aiutare. Giovani fra i 20 e i 30 anni. Una domanda di solidarietà che Roberto Zuccolini, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, si augura possa essere un segnale di cambiamento per il mondo che verrà dopo l’emergenza. I volontari vanno anche nelle periferie, alla sera, per portare pasti, mascherine disinfettanti e conforto. E la comunità di Sant’Egidio offre un rifugio a chi una casa non ce l’ha.
Nuove Radici ha deciso di chiedere ai propri lettori e supporter di sostenere questa causa, importante per la coesione sociale che è l’obiettivo anche della nostra narrazione.
I bollettini di guerra su malati e contagiati producono incertezza e ci fanno dimenticare di tutti quelli che sono rimasti per strada nel mondo sospeso, talvolta senza capire bene perché. Come spiega bene l’appello della comunità di Sant’Egidio: «Se il contagio ci allontana fisicamente, la solidarietà ci unisce, ci rende più forti di fronte alla paura e aiuta a proteggerci». (Qui potete trovate il testo dell’appello e le istruzioni per contribuire economicamente, oppure raccogliendo generi come alimentari, gel igienizzanti e fazzoletti di carta e altri presidi utili a prevenire il contagio.
Alla fine sono loro, i senza dimora, di ogni nazionalità e diversa provenienza ad essere i veri testimoni oculari dell’emergenza. Noi ci siamo rinchiusi in casa, ad aspettare, loro invece hanno continuato a muoversi in un mondo senza uomini.
Ora aiutiamoli a resistere, anche perché alla fine dell’emergenza saranno molti di più. E non solo per pietas: il loro sguardo ci aiuterà a ricomporre il mosaico di un mondo improvvisamente frastagliato e messo sotto vetro. Perciò mentre vi angustiate nella vostra domestica quarantena, non dimenticate questo semplice motto: È facile dire restate a casa, ma cosa dire a chi una casa non ce l’ha?
5 domande, una doppia origine e un solo virus #1
Durante la quarantena, abbiamo cercato di colmare la distanza attraverso le videochiamate, ma cosa accade quando le distanze da colmare sono continenti? Come vive questo momento storico incerto quella che Tahar Ben Jelloun definisce la generazione involontaria, cioè i figli dell’immigrazione? Nella nostra video-rubrica, Sara Lemlem ci racconta cosa sta facendo durante il lockdown e cosa pensa di quanto sta succedendo nei Paesi di origine dei propri genitori.
Amuchina, Inno di Mameli e freestyle: la seconda generazione le canta al Coronavirus
Dal video antirazzista dell’italovietnamita Mike Lennon alla challenge mancata di Rancore, padre croato e madre egiziana. Attraverso i loro social, ecco cosa ci racconta la nuova scena musicale italiana, quando si parla di nuovi italiani e quarantena. Di Mariarosa Porcelli.
Coronavirus e lavoro nero. Siamo tutti sulla stessa barca: un esempio di civiltà (europea) arriva dal Portogallo
Mario Giro, già viceministro degli Affari Esteri, torna su NRW per spiegare perché dobbiamo imitare l’esempio del Portogallo e regolarizzare tutti i migranti per prevenire la contaminazione. Con un semplice motto che ripetiamo come un mantra da giorni: siamo tutti sulla stessa barca.
House of Trump
Letture di NRW. Il long read di questa settimana è tratto da House of Trump di Giovanni Borgognone (edizioni Egea). Un racconto sull’ascesa di Donald Trump che non si limita alla politologia ortodossa e osserva il suo approccio “privato” anche nei grandi scenari internazionali. A cura di Fabio Poletti.
Almar’à, la versione araba (e femminile) dell’Orchestra di Piazza Vittorio
Composta da tredici musiciste provenienti da otto Paesi diversi, l’ensemble ha appena fatto uscire il loro primo singolo, Rim Almar’à, accompagnato da un video con la regia di Francesco Cabras. Di Mariarosa Porcelli.
Covid-19. La bufala sui migranti che non si ammalano spiegata ai razzisti in quarantena
Inchieste di NRW. Dopo l’iniziale illusione di fratellanza, con la diffusione di alcune bufale su migranti e Coronavirus sui social (e non solo) si prova a usare gli stranieri di nuovo come capro espiatorio. Un’indagine di NRW per contrastare fake news e fantaipotesi. Di fronte al dolore della pandemia, c’è davvero bisogno di queste operazioni di sciacallaggio? Di Margherita De Gasperis.