Radici si sforza di comprendere la complessità dell’universo delle seconde generazioni attraverso i loro racconti.
Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere
(Dalai Lama Tenzin Gyatso)
“Ti ho dato tutto, questo Paese ti ha dato tutto”. Distratti dallo stallo politico sulla formazione del Governo, a molti è forse sfuggito il dibattito che si trascina da giorni sulle seconde generazioni di immigrati, le cosiddette 2G. Da quando Sohaib Bouimadaghen, alias Budino, il capo della baby gang torinese che ha innescato il panico in piazza San Carlo il 3 giugno scorso durante la finale della Champions (una donna morta, 1.500 feriti), ha confessato. Italiano di origini marocchine, è finito in carcere. E suo padre ha reagito con questa frase drammatica: “Ti ho dato tutto, questo Paese ti ha dato tutto”. I sociologi, che qualche volta di mestiere vagano, nel senso che buttano lì frasi vaghe, hanno analizzato i noti problemi legati alle periferie, ai problemi di identità dei figli di immigrati, ma non hanno colto in modo esaustivo il tema delle seconde generazioni. E parte dell’opinione pubblica, non potendo dire “mandiamoli a casa” è passata allo slogan: “revochiamo la cittadinanza a chi non se la merita” (e poi mandiamoli a casa, ovviamente). Da questo episodio drammatico emerge l’urgenza di sondare l’universo delle 2G, che è vasto e complesso, dove mancata integrazione e inserimento sociale si intrecciano senza soluzione di continuità. Un milione e mezzo fra nuovi italiani e immigrati ancora senza cittadinanza, gli studi fatti fino ad ora sono tutti frammenti da cui si evince che, davanti alla crescita delle seconde generazioni, ci si perde. Un esempio? Nel report dell’Istat del 2017: L’indagine sull’integrazione delle seconde generazioni: obiettivi, metodologia e organizzazione, focalizzato sulle scuole, colpiscono i limiti persino degli strumenti metodologici usati per la comprensione del fenomeno, come sottolineato dai ricercatori: “Nel contatto con le scuole sono emerse anche alcune difficoltà relative alla definizione stessa di straniero. Nonostante gli sforzi effettuati per cercare di fornire indicazioni chiare e non ambigue su definizioni e procedure classificatorie, in alcuni casi, infatti, sono stati considerati italiani gli alunni con cittadinanza straniera nati in Italia. In altri casi, invece, gli alunni appartenenti a collettività rom sono stati classificati in blocco come apolidi. Altre scuole hanno indicato genericamente il continente di provenienza dell’alunno (ad es. Asia o asiatico) invece della specifica cittadinanza”. Se le scuole non sono state capaci di classificarli sulla base della nazionalità, è necessario fare un’indagine empirica sul campo. Poiché, se è vero che Budino vada trattato come un italiano che ha commesso un reato, non si può ignorare che l’ossessione predatoria aveva assunto nelle menti dell’intera baby gang della Barriera di Milano un significato simbolico di rivalsa contro l’Occidente, come ha sottolineato la psicologa Monica Marchetti sulle pagine locali del quotidiano La Stampa. Questo evento però non dovrebbe essere usato per rafforzare stereotipi, ma al contrario una molla per cercare di comprendere meglio ciò che sta accadendo.
Nelle 2G ci sono tante origini, tante identità, tanti percorsi individuali. E nel viaggio di Radici stiamo scoprendo che le eccellenze non sono eccezioni (scusate il gioco di parole). Le ricerche sono ferme ancora alle scuole dell’obbligo, ma le università di Milano, polo più attrattivo del Paese, stanno preparando centinaia di ingegneri, mediatori linguistici, medici, avvocati ed economisti: all’università Bocconi, nell’anno accademico 2017/2018, su 14.063 studenti immatricolati 2.130 sono di cittadinanza straniera, per fare un esempio.
Numerosi sono quelli entrati nelle forze armate (in futuro racconteremo anche le loro storie), che hanno giurato fedeltà sulla Costituzione italiana. Nei casting sono numerosissimi. Nei talent show pure. Persino nella moda: Ashega Benedicta, nigeriana arrivata in Italia a 12 anni, protagonista di un video di Liberato, ha fatto un’intervista con Freeda, sponsorizzata nientemeno che da Gucci. Oppure Sally Kane, 28 anni, bergamasca di origini senegalesi, sta facendo praticantato nella televisione senegalese D24 e lavora al primo progetto di un Tg in italiano rivolto alle seconde generazioni, con speciale attenzione all’immigrazione. Quindi chi commette reati ci impone sì di avere uno sguardo severo e problematizzare anche la mancata integrazione delle 2G, ma ci spinge ad accelerare lo studio e la narrazione sui nuovi cittadini.
Le due facce della stessa medaglia: a casa tutto bene?
I dati sulle cittadinanze concesse nel 2016 (206 mila), riportati da Cristina Da Rold su l’Espresso, ci dicono che in cima alla classifica dei nuovi italiani ci sono immigrati che vengono dall’Europa dell’Est e che la comunità più numerosa è quella albanese (36.920), ma ci dicono anche che sta crescendo una giovane generazione italo-africana piuttosto cospicua, non solo di maghrebini (i marocchini sono la seconda nazionalità più numerosa che ha acquisito la cittadinanza, inoltre crescono anche i numeri relativi all’Africa occidentale e orientale). Ora è il caso di capire cosa ci sia dietro i numeri.
Questa settimana ci hanno scritto due giovani italiani che rappresentano le due facce della stessa medaglia: da una parte Josef Lushi, diciottenne di seconda generazione – mezzo ecuadoriano e mezzo albanese, avi britannici -, che studia informatica e scalpita per frequentare Scienze politiche, nella speranza di rappresentare gli italiani nelle istituzioni. Lui simpatizza per la Lega perché è nella giunta di centrodestra della sua città che ha visto il primo assessore nero. Dall’altra ci ha scritto una breve riflessione Imen Boulahrajane, studentessa universitaria italo-marocchina che ci racconta la sua perfetta integrazione e l’impegno civile che l’ha spinta a candidarsi con il Partito democratico. Insomma apparentemente a casa tutto bene.
L’identità delle 2G e i suoi paradossi
Sul sito di Radici questa settimana troverete però anche la storia di Paolo Diop, afroitaliano, che si dichiara fascista ed è stato vittima di un’aggressione nei giorni scorsi a Macerata. A forza di dire “Sono negro”, qualcuno purtroppo ci ha creduto davvero e ha picchiato pure la sua fidanzata. Una storia molto significativa, ignorata dai media, ma non da Sindbad il Marinaio, nom de plume utilizzato da un “collettivo” di collaboratori, giornalisti e politici che seguono l’immigrazione.
Cineserie
Nel frattempo, a Milano, dove si trova una delle più grandi e antiche comunità cinesi d’Italia, oggi, 19 aprile, ai Frigoriferi Milanesi ci sarà la presentazione della graphic novel e del documentario CHINAMEN. Un secolo di cinesi a Milano (BeccoGiallo, 2017) di Ciaj Rocchi e Matteo Demonte (la cui madre è cinese) sull’intreccio delle biografie di quattro generazioni (cinesi e italiani). Una cinquantina di studenti del corso “Elementi visivi del progetto” del Politecnico di Milano (guidati da Alessandro Casinovi e Melina Mulas) inizieranno a lavorare su Chinatown, osservandola nei suoi aspetti meno folkloristica e noti. Un progetto affiancato a una serie di eventi collaterali dedicati alla Cina e alla Chinatown milanese. Ce ne parla lo scrittore e responsabile dei programmi culturali di Frigoriferi Milanesi Francesco M. Cataluccio.