Ritorno al passato. Nel dibattito sulla riapertura dopo il lockdown che permette al governo e all’opposizione di proseguire la guerra con altri mezzi, cioè a colpi di decreti e ordinanze, si insinua anche quello sui 600mila migranti irregolari che hanno diritto a un permesso di soggiorno. Li chiamano irregolari, ma per la legge sono clandestini. Dal ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova al fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, fino ai sindacati e alla Caritas, sono tutti d’accordo. Bisogna aiutare i lavoratori senza documenti ad emergere dalle tenebre del mercato nero.
Una nobile battaglia etica. Come se il Coronavirus avesse creato nel tanto di quel vuoto che si è formato uno spazio per una logica per bene. Anche se, indipendentemente dalle buone intenzioni della rete sociale che sostiene la proposta, la si prende (la tematica migratoria) ancora una volta dal verso sbagliato.
Innanzitutto il fine per molti è soprattutto legato alla richiesta del mercato: far tornare i migranti nei campi per riattivare le filiere dell’agricoltura. E se tornano da regolari, abbiamo pure la coscienza a posto perché un po’ di caporalato verrà meno.
Però siamo sempre al palo: nessuna visione sul futuro, nessun interrogativo su come sostenere e valorizzare un numero di immigrati molto superiore agli irregolari: i nuovi cittadini con origini straniere, fra i quali quelli usciti dalle università per fare lavori che serviranno al mondo traballante che verrà.
Ancora una volta si riparte dagli irregolari, ridando un po’ di fiato ai sovranisti e al leader della Lega che sembrava piuttosto disorientato. Ricorrendo anche all’argomento del Covid. Se li regolarizziamo possiamo fare tamponi, sapere se stanno bene, garantire la sicurezza per tutti, sostengono alcuni dei fautori della sanatoria che vorrebbero imitare l’esempio del Portogallo. Tutto questo quando il virus sembra arretrare. Perché prima non era importante? Ovvio che no, prima si pensava solo a come reperire ossigeno, posti letto nelle terapie intensive e nel caos qualche autorevole virologo buttava lì persino la tesi azzardata (con la fondatezza scientifica di un rito vudù) sui migranti che non si ammalano.
Sanate pure i buchi neri della popolazione migrante sin papel, badanti comprese che sono cittadine italiane da decenni, ci mancherebbe altro, ma non dite che lo fate per loro. Altrimenti non avreste reso gli approdi ai porti più inaccessibili, ignorato barconi che affondano o vengono riportati in Libia.
In questo periodo emergenziale ci siamo occupati dei rom lasciati in balia del Covid nei campi abusivi e degli stranieri senza dimora, sosteniamo la campagna di Sant’Egidio per aiutare chi non può restare a casa perché la casa non ce l’ha e non dimentichiamo chi resta indietro.
Il dibattito sull’immigrazione non può però essere emergenziale in eterno. Ignorando come sostenere invece il potenziale espresso e inespresso delle forze produttive, creative, qualificate e spesso mal pagate fra le nuove generazioni di italiani.
A cominciare dai medici di origine straniera che hanno sacrificato le loro vite negli ospedali e stanno pure rischiando la salute mentale nella battaglia impari per assistere gli anziani nelle Rsa. Dopo una lunga quarantena, non vogliamo il ritorno al passato: ci meritiamo un po’ di futuro per ricominciare a fare una riflessione di più ampio respiro.
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