Ho studiato in Italia e quando ho perso il lavoro, volevo tornare in Africa. Poi mi è venuta l’idea di creare l’African Summer School Italy e sono rimasto per portare un po’ di Africa in Italia. È un’occasione per mettere a confronto italiani e intellettuali africani che non vanno in televisione, purtroppo, e possono aiutare a dare un altro sguardo sugli eventi. Sono arrivato in Italia dal Congo nel 2002, a diciotto anni, per studiare. Ho studiato all’Università di Verona e mi sono laureato in Economia d’impresa. Nel 2008, mentre frequentavo la specialistica in Economia e legislazione d’impresa, ho iniziato a lavorare nell’ambito di un progetto di comunicazione, il cui nome è Afriradio della rivista Nigrizia dei padri comboniani. In quel momento, Nigrizia si stava aprendo a nuove forme di comunicazione, così con altri giovani sono stato coinvolto in un progetto multimediale. Ed è iniziata la mia avventura nel mondo della comunicazione e nella professione giornalistica. Ho lavorato per cinque anni al progetto e nel frattempo mi sono laureato. Sono stati cinque anni in cui ho imparato molto, impegnandomi tantissimo. Purtroppo, dopo cinque anni, il mio contratto è scaduto e non mi è stato rinnovato. Mi sono trovato senza lavoro.

Allora ho preso in mano la mia laurea e sono tornato al sogno originario per cui avevo scelto gli studi economici: fare il commercialista. Così ho iniziato il mio praticantato di diciotto mesi presso uno studio per poter dare l’esame di abilitazione alla professione. L’esperienza non è stata positiva, ho avuto molte difficoltà con il titolare dello studio e inoltre ad un certo punto i patti stipulati all’inizio non sono stati rispettati. Insomma avevo davanti una strada chiusa e tempi bui. Fare il giornalista sarebbe stato complicato perché nei cinque anni in cui avevo lavorato per la Fondazione Nigrizia, non mi ero costruito una fama sufficiente per poter fare il freelance. Il 2013 è stato un anno difficile, al punto che avevo pensato di andare via dall’Italia.

Ormai la decisione era presa, ma mi chiamò un sacerdote che conoscevo e che mi seguiva da tempo nella mia esperienza radiofonica e mi propose un master di secondo livello in Politiche migratorie con una borsa di studio. All’inizio ero titubante, avrei dovuto tornare a studiare e stava finendo il periodo di sussidio per la disoccupazione e non volevo rischiare di iniziare un nuovo percorso senza certezze. Il sacerdote è riuscito a convincermi. Sono rimasto e ho intrapreso un nuovo cammino durato due anni, senza lavoro ma molto creativo e stimolante. È così che è nata l’African Summer School Italy. Già nel 2012, mentre lavoravo a Afriradio, avevo proposto alla Fondazione Nigrizia l’idea di creare un forum di una settimana dove invitare dei pensatori africani con una visione diversa dell’Africa, perché quella proposta fino a quel momento dagli africanisti conosciuti in Italia era una visione pietistica. Durante gli anni di lavoro come giornalista, avevo letto molti dei loro testi e mi informavo su ciò che veniva elaborato dagli studiosi africani sulle soluzioni per l’Africa. Il mio progetto non fu preso in considerazione. La speranza di realizzarlo, però, non l’ho mai abbandonata. Mentre frequentavo il master, ho deciso di realizzarlo. Ero e sono conosciuto tra gli africani della diaspora che mi seguivano quando lavoravo a Afriradio, allora ho deciso di lanciare su Facebook, come un sasso nello stagno, l’idea della Summer School. Molti giovani mi hanno risposto, entusiasti dell’idea, attratti soprattutto dal nome di un pensatore famoso in Africa, Jean-Paul Pougala. Pougala era famoso in quel momento per un articolo in cui aveva analizzato le ragioni della guerra contro la Libia e sul perché l’Occidente aveva deciso di uccidere Gheddafi. Dava delle ragioni piuttosto sconosciute, che lo hanno reso famoso tra di noi. Lo avevo conosciuto a Verona, dove lo avevamo invitato ad una conferenza, in cui aveva illustrato le sue teorie e avevo fatto con lui una diretta radio. Lo contattai nel 2013 e gli proposi di venire in Italia a incontrare i giovani e dialogare con loro per una settimana.

Da qui, nasce la prima e ora ne organizzo una ogni anno. Durante i giorni della Summer School, i giovani, si confrontano con pensatori, studiosi e intellettuali africani che vengono a esporre le loro idee che danno una visione diversa di come affrontare i problemi del nostro continente. Ci si confronta su ragioni diverse da quelle solitamente veicolate in Occidente sui problemi e sul futuro dell’Africa. Negli anni, abbiamo reso la scuola più efficiente e moderna, non esponiamo solo le ricerche ma cerchiamo di aiutare i giovani, sia italiani che africani, ad avere un atteggiamento diverso nei confronti del continente africano con il lancio di nuovi progetti d’impresa, anche piccoli. Durante l’African Summer School Italy, i giovani imparano a conoscere l’Africa: non solo il pensiero ma anche la sua struttura sociale e imprenditoriale. Quest’anno la sesta edizione si terrà a Venezia con due docenti principali che porteranno avanti la didattica per tutta la settimana e altri docenti che si alterneranno per uno o due giorni, in base alla necessità del piano didattico. Alla fine della settimana, i giovani hanno tre mesi per presentare un papier in cui analizzano uno dei testi studiati, oppure possono presentare dei propri progetti sociali o imprenditoriali da realizzare in Africa o in Italia.

Adesso vivo a Roma, ma penso anche di tornare seriamente in Africa, anche se alla fine il vero desiderio è quello di vivere tra i due continenti. Sono legato all’Italia, che mi ha permesso di studiare, di accedere alla cultura scientifica che mi ha reso ciò che sono adesso. Ho sempre studiato con borse di studio, perché chi è capace all’università non subisce discriminazione alcuna, si può accedere alla borsa di studio in base al talento e raggiungere i risultati richiesti grazie alla capacità. Questo è un regalo enorme che questa nazione dà a chi viene a studiare qui. Questo è un riconoscimento che devo dare allo Stato italiano: è vero che mi sono dato da fare, ma ho trovato strumenti che mi hanno permesso di farlo. Dentro di me convivono due culture. Penso al mio Paese, il Congo, e all’Africa in quanto panafricanista. Come cittadino italiano, mi sento legato al destino di questa nazione. Mi interessano sia le sorti dell’Italia sia quelle degli africani in Italia.

 

 

 

 

 

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