Vivo a Milano da ottobre, mi sono trasferita qui da Alba per frequentare l’università in Bicocca. Quando mi sono messa a guardare gli annunci, inizialmente cercavo casa nella zona di Chinatown. Anche se fino a quando non sono arrivata in università avevo un’unica amica di origini cinesi – una ragazza che condivide la mia passione per la musica pop coreana e con cui ho iniziato a chattare in un forum perché avevamo in comune l’avatar di un cantante coreano – in mancanza dei miei mi avrebbe rassicurato vivere lì. Però non ho trovato niente che mi piacesse, e alla fine ho cambiato completamente zona. Sono nata in Piemonte, e quindi la scelta più ovvia sarebbe stata andare a studiare a Torino, ma non ho mai preso davvero in considerazione l’ipotesi di farlo. D’altra parte i miei quando avevano poco più di vent’anni hanno lasciato Rui’an (una città a sud di Shanghai) per stabilirsi in Italia e quindi non vedevo il motivo per cui io non avrei potuto spostarmi a più di sessanta chilometri da casa.
Prima di venirci ad abitare, di Milano conoscevo solo via Sarpi e i suoi dintorni, perché i miei ad Alba hanno tre negozi e negli anni in cui lavoravo con loro li ho accompagnati un milione di volte a prendere la merce in quelle vie. Seguo i corsi e cerco di non perdermi una lezione perché so di essere qui, e di avere la possibilità di starci grazie alla fiducia e al sostegno dei miei genitori, per studiare e laurearmi nei tempi giusti, così da poter poi andare a fare la magistrale in Bocconi, come hanno fatto i miei cugini. Solo una volta che mi sono trasferita, ho scoperto che la mia coinquilina viene dallo stesso luogo da cui vengo io, anche se lei non è proprio di Alba ma di un paese nelle vicinanze. Nonostante ci sia lei, e nonostante abbia conosciuto altre persone in università, come tutti quelli che si trovano per la prima volta a vivere da soli ho avuto nostalgia di casa. E allora mi sono iscritta a un corso di cinese mandarino, perché capisco il dialetto della prefettura da cui viene la mia famiglia – lo Wenzhou – ma non lo parlo e non conosco per niente il cinese. Fino a che i miei avevano una gastronomia in centro, e io avevo sei o sette anni, andavamo spesso durante l’estate dai miei nonni, ma da quando hanno aperto i negozi di oggettistica cinese le cose sono cambiate e per tenerli aperti i miei fanno a turno, perciò vacanze tutti insieme non ne facciamo più e sono almeno sei anni che non vado in Cina. Non conoscere il cinese non mi permette di avere un dialogo con i miei nonni: ci capiamo lo stesso, ma non è come parlarsi. Si può dire che mi sono messa a studiarlo soprattutto per riuscire a capirli e a farmi capire.
Come ho detto, non conosco il cinese e, anzi, un po’ ci rimanevo male quando in negozio alcuni clienti mi salutavano con ni hao (che peraltro significa ‘ciao’ e dimostra una confidenza eccessiva, n.d.r.). Non riuscivo a non pensare che, per quanto a questa gente potesse sembrare incredibile, io molto spesso parlavo un italiano migliore del loro. Mia madre invece ci scherza e va oltre anche la maleducazione di quelli che entrano guardandoti dall’alto in basso solo perché sono in un negozio cinese. Io all’anagrafe sono Giulia, ho anche due nomi cinesi – Xiao Yu, che significa ‘piccola giada’ e Meng-Tong, che vuol dire ‘albero dei sogni’ – ma sui documenti – e ho la cittadinanza italiana – sono solo Giulia Mu. Così come mia sorella e mio fratello che, come dice sempre mia madre, porta un nome “da dottore”, anche se al momento sta solo pensando a cosa farà nel futuro.
Io ho fatto ragioneria – con buoni voti ma senza esagerare – e ho deciso di studiare Marketing proprio perché volevo stare nell’ambito economico e, se mi devo immaginare tra qualche anno, mi vedo in un ufficio, dietro un computer o magari a gestire un team di persone. Non penso mi occuperò delle attività dei miei genitori, e allo stesso tempo sono sicura di voler continuare a vivere in una grande città. Adesso non posso ancora permettermelo ma se dovessi scegliere dove trasferirmi, andrei all’Isola o in Garibaldi. Perché è la zona dei grattacieli e perché, come dicevo prima, anche se mi rendo conto che sia solo una fisima, vivrei vicina a Chinatown.