Di cosa parliamo, quando parliamo di leadership? Concetto abusato più che usato, in tempo d’elezioni, viene poi prontamente abbandonato nel cassetto, passata l’euforia da exit poll.
Eppure, se c’è una fase nella quale il Paese ha bisogno di ragionare in termini di capacità di guidare e fare rete, è arrivata
Non è quindi un caso che proprio nella fase di ripartenza scolastica, ma anche sociale, politica e culturale, Nuove Radici World abbia deciso di organizzare l’incontro “Le Nuove Radici della leadership. Come essere leader nella società multiculturale”, che si terrà il prossimo 2 ottobre nella sala Agorà della Triennale di Milano, con il sostegno del Consolato Generale degli Stati Uniti d’America. Dopo la tavola rotonda con i relatori moderata dal direttore di NRW Cristina Giudici, seguiranno dei workshop formativi aperti a venti giovani tra i 20 e i 30 anni.
I leader di domani
A loro parleranno un gruppo di relatori che di leadership e multiculturalità hanno molto da dire, come Abderrahmane Amajou. Nato in Marocco nel 1986 e italiano d’adozione dall’età di 6 anni, è coordinatore di Slow Food International e fa parte del Transatlantic Inclusion Leaders Network (TILN) di German Marshall Fund. «Persone con un background importante, italiano e di un altro Paese d’origine possono essere la soluzione a tanti problemi che la nostra società vive oggi», premette.
Parlare loro di leadership è necessario, per fare in modo che si sentano maggiormente parte della società, perché prendano parte al cambiamento e si sentano responsabili in prima persona
Il momento per guardare al domani, in questo senso, è arrivato: «In Italia mancano voci critiche, interessanti, intellettuali, che potremmo definire leader. Giovani che possano obiettare e dire, ad esempio, ‘questo modo parlare di immigrazione non ci piace’. Le seconde generazioni non possono più accettare che la discussione che li riguarda avvenga sotto i loro occhi, senza che vi possano prendere parte. Scovare nuovi leader, in questo senso, è utile alla dialettica sull’immigrazione dell’intero Paese». Abderrahmane parlerà della sua esperienza e in particolare di cos’è una leadership condivisa, ma anche di come si possano animare le comunità, partendo dai problemi che le affliggono: «Spero che questo evento aiuti i partecipanti a capire che possono essere il cambiamento e che non è vero che tutti nascono leader, perché tutti possono diventarlo, a patto di credere nelle proprie battaglie».
Fare rete, nella rete
Ne sa qualcosa Hilda Ramirez, nata in Ecuador 29 anni fa e in Italia da quando ne aveva 7. Lavora come webmaster freelance, è un’attivista per i diritti umani e civili, ed è presidente dell’associazione Multietnica per la Cooperazione allo Sviluppo Umano di Genova, oltre che consigliera del CoNNGI, il Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane: «È importante parlare di leadership e nuove generazioni perché è arrivato il momento di capire che non siamo l’eccezione, ma la regola: nuove generazioni significano background migratorio, arricchimento della lingua, due culture, due visioni del mondo. Il che si traduce in un impatto socioeconomico positivo per l’intero sistema Paese, in Italia», osserva.
Una rete di competenze, di creatività e di sguardi differenti sul mondo che va assolutamente intercettato, e compreso: «Nel corso del mio workshop, parlerò del potere dei social media e di come siano diventati uno strumento sempre più utile per quando riguarda l’associazionismo e il coinvolgimento dei giovani con background migratorio» spiega. «Parliamo di strumenti che ci permettono di arrivare a giovani che stanno crescendo con in testa tanti punti di domanda relativi alla propria identità, e grazie a questi strumenti riusciamo a raggiungere chi si sente escluso dalla narrazione prevalente». Uno sguardo inclusivo che, spera, aiuti i partecipanti a gestire una questione identitaria che, in alcuni casi, può essere vissuta come problematica:
Vorrei aiutarli a rendersi conto che quanto possono percepire come un problema è invece una ricchezza, che apre loro molte possibilità di partecipazione e di cittadinanza attiva
Tempo di innovazione sociale
Una riflessione che, all’indomani delle Regionali, di una pandemia, di una crisi economica e di un crollo sanitario, è fondamentale, spiega Matteo Matteini, 54 anni, di origini italiane e congolesi, esperto di innovazione sociale per organizzazioni multilaterali, nazionali, regionali e locali, e co-fondatore di una serie di startup a impatto sociale come Vitality Onlus: «Questo è, per molti versi, un momento generativo. Si è distrutto il retroterra di un mondo che credevamo solido, ed è necessario porre le basi per un nuovo modo di vivere. Per questa ragione, persone che hanno nel loro retroterra percorsi di cambiamento, ad esempio un background migratorio, sono quelle cui si deve guardare con maggior attenzione, perché per rigenerarsi servono nuove radici».
A lui il compito di raccontare ai futuri leader del ruolo che, in questa fase, avrà l’innovazione sociale («parola molto usata a livello di programmazione europea, ma finalmente è diventato chiaro a tutti che si tratta dell’ingrediente principale del cambiamento che ci attende»), nella convinzione, ci spiega, che ognuno a questo punto è chiamato a mettere in campo le proprie risorse: «In Italia vige un limite culturale, la società non riesce a vedere il potenziale presente in chi è stato incluso nell’establishment e se è vero che riconoscere questo limite è già metà dell’opera, è anche vero che serve la consapevolezza, da parte di questi gruppi, che c’è qualcosa nelle loro biografie, nelle loro competenze, e nelle loro storie che può essere utile all’intero sistema, in un momento storico di grande generatività». Non tutti sono automaticamente leader, secondo Matteini, ma lo possono diventare:
Leadership è capacità di cambiare, di prendere decisioni ed essere parte del cambiamento. Ecco, le seconde generazioni sono già intrinsecamente aperte e propense al cambiamento e alla molteplicità: esattamente quel che serve al Paese, oggi