Mor Gueye punta il fuso verso il sole per vedere se nella fede di oro giallo a cui sta lavorando passa la luce e intanto racconta che quelli del Celav, il Centro Mediazione al Lavoro, lo hanno portato a Vercelli, alla Scuola d’Arte, per essere sicuri che fosse capace di lavorare i metalli preziosi, come sosteneva. «Hanno voluto mettermi alla prova. Mi hanno fatto sedere a un tavolo e mi hanno dato in mano un filo e una lastra, chiedendomi di ricavarne un anello. Quando ho finito, chi doveva esaminarmi si è girato verso la tutor che seguiva la mia formazione, Camilla, dicendole che lo sapevo fare sul serio e quella che mi serviva non era una scuola ma un lavoro», racconta. Un lavoro che non sarebbe arrivato subito. Prima, appena arrivato dal Senegal e già trentenne, si era specializzato come elettricista e come elettricista era andato a lavorare in uno di quei negozi dove gli esperti di bricolage e di fai-da-te passano interi fine settimana a cercare la perfetta tonalità di grigio per la cancellata di casa.
Non che fosse un brutto posto o che le intenzioni di chi voleva portarmi a fare l’elettricista fossero cattive, ma io sono un orafo, spiega mentre aiuta a incidere l’interno dell’anello con un compasso la coppia che è intenta a lavorare alle proprie fedi nuziali.
Essere al posto giusto al momento giusto: UrOburo
Nel 2014, l’occasione giusta: una laboratorio orafo che è anche una cooperativa sociale, UrOburo, specializzata nella formazione e nell’inserimento lavorativo di persone con malattie psichiche e nell’utilizzo di materiali certificati come etici, lo chiama. Due anni dopo viene assunto. «Quando sono partito, lavoravo in una oreficeria industriale da più di dieci anni. Ero entrato come apprendista all’età di diciotto anni». L’oreficeria, spiega con la pazienza di chi ogni sabato ricava da un mattoncino d’oro e una coppia di fidanzati volenterosi due fedi, può essere di due tipi: industriale o artigianale alla base delle quali ci sono procedimenti e strumenti completamente diversi.
Se in Senegal quello con cui lavorava era un laminatore elettrico e per ogni pezzo esistevano almeno 50 copie tutte uguali, da UrOburo ha imparato a lavorare con il laminatore manuale e ogni pezzo che esce dal laboratorio è unico.
Per arrivare all’anello, si incomincia con un disegno, che può essere una creazione originale di Mor Gueye o l’idea di chi ne commissiona la realizzazione a UrOburo. Prima di accendere il laser, bisogna trasformare lo schizzo sul foglio portato dal cliente in un’idea precisa dei materiali da utilizzare e dimensioni della fascia. Da sotto il tavolo del laboratorio tira fuori una cartelletta piena di appunti: ogni foglio un anello. Alcuni sono parte della collezione in vendita, ma la maggior parte sono pezzi unici, disegnati per un solo proprietario. «La prima cosa da fare è sedersi con la persona che mi porta l’idea per l’anello e cercare di capire cosa vuole esattamente. La sera, quando chiudo il laboratorio, fotografo mentalmente il disegno a cui siamo arrivati. Il foglio lo lascio qui, ma l’idea dell’anello la porto a casa».
Gueye sfoglia le decine di fogli che ci sono nella cartelletta e racconta «Per questo si partiva dall’idea di un bambino di 7 anni: io e la madre lo abbiamo disegnato e ora l’idea di suo figlio è al suo dito. Questo invece è un anello di fidanzamento». Incalzato sulla possibilità che qualcuno non sia riuscito a ritrovare nell’anello finito l’immagine che ne aveva, l’orafo Mor Gueye non si scompone e non incassa. «Dal 2014 a oggi ho disegnato centinaia di anelli, e accompagnato altrettante centinaia di coppie nella produzione della propria fede. Ogni sabato, e per riuscire a soddisfare la richiesta anche il martedì. Nessuno ha mai avuto da ridire sull’anello finito». Per ottenere il quale, ci spiega, si parte sempre da una lastra e da un filo di bronzo, argento, rame o oro, «Da quando sono arrivato qui lavoriamo molto di più con l’oro. Perché l’oro ha una lavorazione più complessa rispetto agli altri».