Chris Richmond Nzi, 34 anni, ivoriano, doppio passaporto americano e svizzero, laurea in Diritto Internazionale e Diplomazia, ex funzionario Frontex, ha fondato a Bologna Mygrants Opportunity in Adversity, una piattaforma che aiuta i richiedenti asilo nei loro diritti, li profila professionalmente e offre alle aziende una piattaforma in cui cercare eccellenze lavorative: «Sono partito da una constatazione. I richiedenti asilo passano in media 600 giorni nei centri di accoglienza. Sostanzialmente parcheggiati a fare nulla. Con gran spreco di risorse economiche e umane. Solo il 2,4% di loro trova un lavoro per più di 6 mesi. Noi li aiutiamo a conoscere i loro diritti e a formare un curriculum vitae dinamico. Abbiamo 70 mila utenti e 270 aziende che si sono rivolte a noi».
Partiamo dall’inizio. Doppio passaporto…
«Sono nato in Costa d’Avorio. A 7 mesi sono stato adottato da una famiglia americana. Quando il mio padre biologico ha sposato una donna svizzera ho ottenuto anche i documenti elvetici. Non posso avere la cittadinanza italiana perché ho già due nazionalità. Mi piacerebbe avere il passaporto ivoriano. Sono venuto via che avevo 7 mesi. Ci tornerò per la prima volta quest’anno. Sarà un bello shock».
Laurea in Diritto Internazionale e Diplomazia…
«Sì, presa in Svizzera. Poi ho fatto l’abilitazione negli Stati Uniti. Dopo la laurea potevo andare a lavorare come advisor da Goldman Sachs. Contemporaneamente avevo fatto un concorso dell’Unione Europea. Ho scelto questa».
Ed è finito a Frontex.
«A Varsavia, dal 2010 al 2015. Lavoravo sulle conseguenze dei flussi di migranti e sulle potenzialità che ne scaturivano. Un lavoro di analisi. Mi sono occupato di tutto il post Primavera Araba. Ho visitato il campo profughi di Dadaab in Kenya, il più grande del mondo, gestito da UNHCR, 500 mila richiedenti asilo. Poi sono stato in missione in Corno d’Africa, Yemen, Libano, Arabia Saudita. A Frontex analizzavamo i dati sia da un punto di vista militare che civile. Ma Frontex non voleva trovare una soluzione per i flussi migratori. La politica della Ue e dei singoli stati era quella di fermare il fenomeno non di gestirlo».
Quindi ha fondato Mygrants.
«Vogliamo individuare tutte le eccellenze tra i migranti dentro e fuori i centri di accoglienza. Cercare di andare oltre la permanenza passiva che si protrae per 600 giorni. Attraverso un sistema di microlearning e di quiz, con la nostra app facciamo uno screening delle competenze professionali, delle esperienze lavorative e delle aspirazioni individuali. Li formiamo anche fornendo loro una serie di informazioni sui loro diritti che spesso non conoscono. L’analisi dei dati raccolti serve anche a facilitare l’incontro con il mercato del lavoro».
Ci fa una radiografia dei vostri utenti?
«Il 90% di loro sono il frutto dei flussi migratori scaturiti dalle Primavere Arabe. Il 47% di loro non ha compiuto studi superiori, il 90% non ha la laurea. Mygrants non è un mercato del lavoro. Fa emergere competenze. Li aiuta nei loro diritti. Anche nel microcredito».
Dove siete? E quanti?
«Siamo attualmente in 17, metà richiedenti asilo, metà italiani. Abbiamo sede a Bologna e Catania, presto anche a Milano».
Le istituzioni vi aiutano?
«Le istituzioni sono latitanti. Qualcuna è reattiva. Il Comune di Bologna collabora con noi. Il Comune di Milano ci ha chiesto informazioni».
Il vostro lavoro lo dovrebbe fare l’Italia, la Ue… C’è qualcosa di simile al mondo?
«Nulla di simile. Gli strumenti ci sono. Nessuno li usa. Bisogna dare un futuro a questo processo. Ma ci vuole anche una visione più ampia da parte della politica».