Una serie che non vuole solo rappresentare un gruppo di adolescenti alle prese con i classici problemi che distinguono questa fase, ma We are who we are di Luca Guadagnino (regista noto soprattutto per Call me by your name) è il ritratto di una piccola società multietnica, che ha sede in una base americana a Chioggia, dove ognuno cerca di comprendere la propria identità, che sia questa di genere, sessuale o religiosa.
Possiamo dire che già la scelta dell’ambientazione è ambigua e disorientante, poiché all’interno del campo si vive come in una piccola America, dove vige un regolamento militare, mentre fuori c’è l’Italia, che agli occhi dei giovani americani sembra un paradiso che li libera dalle regole della base.
In questo contesto più che unico facciamo la conoscenza, soprattutto nelle prime due puntate, dei due principali protagonisti, Fraser e Catlin. Fraser è un po’ il classico freak che non si preoccupa di cosa pensi la gente e che vive al di fuori della norma; Catlin, al contrario è ben inserita nel suo gruppo di amici, popolare alla base e ha un rapporto stupendo col padre.
Nonostante i due siano agli antipodi, al loro primo incontro i ragazzi sembrano capire di aver bisogno l’uno dell’altra, di vivere le stesse paure e ansie, e realizzano di riuscire a comprendersi solo tra di loro. Sarà infatti Fraser a far capire a Catlin che c’è una soluzione al rapporto col proprio corpo, che lei non sente suo e a volte sembra rifiutare.
Con la sua regia Guadagnino ci fa immergere in questo mondo fatto di cambiamenti e messe in discussione del proprio sé e dei propri ideali. I primi piani dei personaggi, che da sempre caratterizzano la sua regia, ci fanno immedesimare ancora di più in questi giovani ragazzi.
La serie cerca di cogliere cosa significhi davvero accettarsi e comprendere realmente chi siamo senza rifiutare nulla di noi stessi, comprese le nostre radici, come quelle nigeriane della madre di Catlin.
Quello che più ci ha colpito dell’opera di Guadagnino è il realismo disarmante, non solo delle ambientazioni, ma anche delle relazioni umane che mette in scena, dal rapporto degli adulti con questo gruppo di giovani – come la relazione dolce e allo stesso tempo conflittuale tra Fraser e sua madre – alle dinamiche interne di un gruppo di ragazzi, dove basta un minuscolo cambiamento per mandare in frantumi l’equilibrio raggiunto.
Guadagnino con questi personaggi che sembrano vivere al di fuori del mondo cerca di farci comprendere che non importa da dove veniamo, chi amiamo, o che rapporto abbiamo con noi stessi e gli altri: noi siamo ciò che siamo, il che può essere tutto e niente. Siamo ciò che vogliamo essere, l’immagine migliore o peggiore che abbiamo di noi, l’importante è riuscire a comprenderla e accettarla.
Con We are who we are Luca Guadagnino cerca l’affermazione del sé, come anche a disinnescare il rifiuto che si può provare per l’altro perché non lo si comprende. Se riusciamo prima di tutto a capire noi stessi, ad accettarci per quello che siamo, saremo anche capaci di comprendere l’intimità che si cela negli altri. Come i giovani protagonisti (e anche gli adulti) della serie dobbiamo essere in grado di dire “Io sono così, accoglimi per quel che sono”.
Foto: Sky/HBO