Ha scelto di chiamarsi F.U.L.A. per omaggiare l’etnia di origine senegalese dalla quale proviene, Fulani, ma anche per l’acronimo Free United Lands of Africa, che si è creato su misura perché è un panafricanista convinto. Ma torniamo indietro nel tempo, all’inizio degli anni Novanta.

Ultimo di 12 figli, Oumar Sall ha solo pochi mesi quando parte dal Senegal, arrivando prima in Francia e subito dopo in Italia, in provincia di Cosenza. È con sua madre Fatima, che in Calabria inizia a fare la venditrice ambulante nei mercati e non può portarsi dietro un bambino così piccolo.

Poi, un’amica si propone di prenderlo in affidamento e Oumar cresce tra due culture. «Vengo da una famiglia che mi ha insegnato che non siamo tutti uguali ma tutti fratelli», dice orgoglioso della sua formazione, durante la quale è stato libero di muoversi tra la madre e la nuova famiglia.

«A 17 anni ho cominciato a girare l’Italia e per un periodo sono stato stabile a Piacenza per giocare nel settore giovanile di una squadra di pallavolo di serie A. Un’attività che mi è stata utile per sistemare un po’ di questioni economiche di famiglia».

Ma la mia passione in realtà era la musica. Già nel 2006 avevo avuto i primi contatti con il mondo dell’hip hop. Ero troppo alto (1,96, ndr) e impacciato per fare breakdance e allora mi sono messo a scrivere canzoni.

Il rap e l’impegno sociale

Scelta non semplice quella di lanciarsi in una carriera musicale nell’hip hop, dato che in Italia la cultura rap non ha mai avuto una diffusione ampia come in Francia o in Inghilterra.

Penso sia dipeso dalla differente evoluzione dell’integrazione. La diaspora in altri Paesi è iniziata molto prima e la cultura hip hop viene dalla comunità di origine africana che qui in Italia è molto disgregata.

«Abbiamo il rap “mainstream” che passa alla radio, mentre negli Stati Uniti, per esempio, viene dato spazio anche a personaggi politicamente scomodi su media popolari come la televisione».

Oumar è molto attivo sul fronte dei diritti civili, spesso presenta dei progetti in giro per le università e partecipa a eventi di promozione sociale. Insieme a un amico ha creato l’associazione Africa 1, impegnata con i ragazzi stranieri che hanno bisogno di un aiuto pratico per affrontare i labirinti della burocrazia italiana e a sostenere chi non ha una casa.

Maldafrica

Lo scorso 10 aprile, per l’etichetta indipendente LA POP è uscito il suo singolo Maldafrica, accompagnato da un video girato in Senegal, di grande impatto emozionale.

Con Maldafrica non volevo raccontare l’immigrazione in Italia ma far conoscere casa mia. Non mi interessa fare del vittimismo e parlare delle ingiustizie che ho subito in Italia.

«Il mondo si sta mescolando e credo non ci dovrebbe essere neanche più bisogno di sottolineare certe cose, come quando mi sento dire “Ah però, parli bene l’italiano!”. Volevo, invece, far riflettere sul perché una persona decide di andare via dall’Africa. O di restare, perché nel mio Paese di origine non ci sono solo cose negative».

Oumar ci tiene a far sapere che ha una spirito fortemente panafricanista e che spera nell’abbattimento delle barriere prima di tutto tra popoli africani. «Il pregiudizio è insito in noi. C’è tanta strada da fare ancora perché le persone di diverse provenienze geoculturali facciano un passo le une verso le altre e in questo senso credo che la parola sia lo strumento per conoscersi».

E naturalmente c’è la musica a far passare dei messaggi. «Anche se ho un atteggiamento afropunk (quel movimento artistico e culturale nato da afroamericani legati al mondo occidentale, sia nella musica sia nell’abbigliamento, ndr), io faccio afrobeat, una contaminazione che manca in Italia».

Il mondo dopo il Covid

«Si capiscono tante cose durante le criticità della vita. La quarantena non è troppo dura per chi è musulmano come me ed è abituato a un certo tipo di costrizione, come nel Ramadan».

Addentrandoci nel tema impossibile da evitare in questo periodo, Oumar è molto più positivo di quanto lui stessa non creda.

Penso che dopo quest’emergenza ci sarà un cambiamento in Italia, anche maggiore rispetto ad altri Paesi più avanzati di noi sotto vari punti di vista. Credo che gli italiani saranno più aperti, più socievoli e legati alla vita.

«L’economia cambierà, probabilmente all’inizio sarà difficile trovare lavoro, ma voglio pensare che ci saranno delle novità significative e che la globalizzazione diventerà in qualche modo più genuina. Voglio pensare che dopo l’emergenza ci sarà una rinascita dei rapporti, nella direzione opposta rispetto agli schemi in cui siamo incasellati ora».