Un uomo invisibile per il colore della sua pelle, un uomo senza diritti. «Una persona che la gente si rifiuta di vedere», scrive Ralph Ellison, uno dei pilastri della letterattura afroamericana, premiato con il National Book Award nel 1953, un anno dopo l’uscita di questo Uomo invisibile, che Fandango Libri ripropone in una nuova traduzione di Francesco Piccolo. Il libro è uno di quelli che ha lasciato il segno nella cultura afroamericana. Intriso di jazz, di cui Ralph Ellison è stato importante critico musicale oltre che appassionato ascoltatore, Un uomo invisibile segue a ruota l’epoca della Harlem Renaissance, che a partire da metà degli Anni Venti e per tutti gli Anni Trenta esalterà i fermenti sociali, artistici e culturali del ghetto afroamericano a Nord di Manhattan. Ambientato negli Anni Quaranta, l’«uomo invisibile» di Ralph Ellison vive sulla sua pelle la rabbia e la frustrazione della comunità afroamericana, in un mondo dominato dai bianchi. A voler ben guardare questa opera di Ralph Ellison è uno dei manifesti più importanti dell’autodeterminazione dei neri, che sfocerà negli Anni Cinquanta e Sessanta con le prime proteste e le prime marce per rivendicare se non il black power almeno il diritto ad esistere, a non essere più fantasmi, appunto invisibili. Il libro gronda di rabbia e di jazz, non è più il tempo degli zio Tom sottomessi. Ambientato negli Anni Quaranta Un uomo invisibile è la chiave di lettura ancora attuale, per comprendere i sentimenti della comunità afroamericana che vuole cambiare pagina e che Barack Obama non è stato capace di sostenere, che Donald Trump ha cercato di schiacciare e con cui a fatica Joe «Sleepy» Biden cerca di dialogare. Fabio Poletti
Ralph Ellison
Uomo invisibile
traduzione di Francesco Pacifico
2021 Fandango Libri
pagine 624 euro 28 ebook 13,99
Per gentile concessione dell’editore Fandango Libri pubblichiamo un estratto dal libro Uomo invisibile.
Sono un uomo invisibile. Non sono uno spettro, no, uno di quelli di Edgar Allan Poe; e nemmeno un ectoplasma da film di Hollywood. Sono un uomo di sostanza, di carne e ossa, di fibre e umori – si potrebbe perfino affermare che ho un cervello. Sentite, sono invisibile per il semplice fatto che la gente si rifiuta di vedermi. Come le teste senza corpo che vedete al circo tra i fenomeni da baraccone, mi sento circondato da specchi deformanti di vetro durissimo. Quando la gente mi incontra vede solo tutto intorno, e vede se stessa e vede i frutti della sua immaginazione: insomma proprio tutto all’infuori di me.
E la mia invisibilità non è un problema di biochimica, non è un fatto di epidermide. L’invisibilità di cui parlo si verifica per via di una disposizione peculiare degli occhi di quelli che incontro. È un fatto di costruzione degli occhi interni, quegli occhi con cui guardano la realtà attraverso i loro occhi fisici. Non è che mi lamenti, e nemmeno protesto. A volte non essere visti è un vantaggio, sebbene tenda molto più spesso a logorarti. E poi c’è che quelli che ci vedono poco ti sbattono addosso continuamente. O c’è il fatto di avere spesso il dubbio di non esistere. Ti chiedi se non sei solo un fantasma nella mente degli altri. Chessò, un personaggio di un incubo, che chi dorme cerca con tutte le sue forze di distruggere. È quando ti senti così che per risentimento cominci anche tu a sbattergli addosso. E lo confesso, ti
senti così quasi sempre. Ti preme da morire di convincerti che esisti nel mondo reale, che sei parte del clamore e dell’angoscia, e attacchi con i pugni, li maledici, bestemmi, per farti riconoscere. E purtroppo non funziona quasi mai.
Una notte per sbaglio sono andato a sbattere contro un uomo, e lui, forse perché era quasi buio, mi ha visto e mi ha chiamato con un nome che è un insulto. Gli sono saltato addosso, l’ho afferrato per il bavero e ho preteso le sue scuse. Era alto e biondo, e vedendo la mia faccia così vicina ha lanciato uno sguardo insolente dai suoi occhi azzurri e mi ha preso a parolacce, il suo alito caldo sulla mia faccia mentre si divincolava. Con il cocuzzolo della testa gli ho colpito forte il mento, il tipo di testata che ho visto usare agli uomini delle Indie Occidentali, e ho sentito la sua carne lacerarsi, il sangue zampillare e ho gridato: “Chiedimi scusa! Chiedimi scusa!”. Ma lui ha continuato a prendermi a parolacce e a divincolarsi e allora l’ho preso ancora a testate finché non è caduto di schianto sulle ginocchia, sanguinando a profusione. L’ho riempito di calci, ero una furia perché lui continuava a tirar fuori insulti dalle labbra che schiumavano sangue. Quanto l’ho riempito di calci! Ed ero così offeso che ho tirato fuori il coltello e stavo per aprirgli la gola, lì su due piedi, sotto il lampione in mezzo alla strada deserta, tenendolo per il colletto con una mano e aprendo il serramanico coi denti – quando mi è venuto da pensare che lui non mi aveva davvero visto; che, per quanto ne poteva sapere, era solo finito dentro a un incubo a occhi aperti! E ho fermato la lama, che ha tagliato in due l’aria mentre lo spingevo via, facendolo cadere all’indietro sull’asfalto. L’ho guardato fisso mentre i fari di un’automobile tagliavano il buio. È rimasto per terra a frignare: un uomo che si era quasi fatto uccidere da un fantasma. La cosa mi sgomentava. Allo stesso tempo provavo disgusto e vergogna. Mi sentivo come un ubriaco, che cammina malcerto sulle gambe deboli. Poi però mi è venuto da ridere: da dentro la testa dura di quest’uomo era saltata fuori una creatura che l’aveva massacrato di botte fin quasi a ucciderlo. Mi sono messo a ridere, che scoperta folle. Mica si sarebbe svegliato sul punto di morire? La Morte, lei, sarebbe riuscita a liberarlo dalla vita vigile? Non ho perso tempo, però. Sono scappato nel buio, ridendo così forte che ho avuto paura di esplodere. Il giorno dopo ho visto la sua foto sul Daily News, sotto una didascalia secondo cui era stato “rapinato”. Povero stupido, povero stupido cieco, ho pensato con sincera compassione, rapinato da un uomo invisibile!
© 1947, 1948, 1952, Ralph Ellison
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