Una grande ironia nel definirsi sovrappeso, unita alla curiosità del viaggiatore e alla capacità di scrittura del giornalista, fanno di questo libro un reportage dell’Iran che non ti aspetti. Bernardo Notarangelo in questo Un viaggiatore sovrappeso in Iran, pubblicato da Zolfo Editore ha uno sguardo nuovo su un Paese dalla storia millenaria da quasi cinquant’anni sotto il dominio di una gerarchia religiosa integralista, che negli ultimi tempi ha visto sgretolare il suo potere sotto le spinte delle nuove generazioni, formate soprattutto da donne, alla ricerca di una mai avuta libertà. Bernardo Noarangelo, foggiano, si è laureato in Economia a Pavia dove ha insegnato nella stessa università. Ha conseguito un Master in International Public Policy alla Johns Hopkins University di Baltimora, è stato un manager in varie start up e pure a Mediaset, in Rai e Il Sole 24 Ore. È membro della Royal Geographical Society. Sulle orme di Marco Polo e dei Re Magi il Viaggiatore Sovrappeso incontra commercianti di tappeti, studenti, poliziotti, religiosi col turbante e donne che coraggiosamente non portano il velo, sfidando il regime al grido di “donna, vita, libertà”. Dalla meravigliosa Isfahan alla santa Mashhad, Bernardo Notarangelo restituisce un ritratto dell’Iran ricco di riferimenti storici e riflessioni contemporanee: un diario di viaggio per comprendere un Paese dall’immenso passato e dal presente assai problematico. Giura che le difficoltà di un viaggiatore sovrappeso e pure in solitaria sono niente di fronte alle sfide che si è trovato ad affrontare come manager. Fino al giorno che decise di dimettersi da dirigente di una importante società di catering, solo perché un bullone era finito per sbaglio nel piatto di un bambino a scuola. Un’assunzione di responsabilità, e certo non era colpa sua, affrontata con estremo rigore e del tutto inconsueta dalle nostre parti. Lo stesso rigore che gli ha fatto mettere le ali ai piedi e affrontare per la terza volta un tutt’altro che facile viaggio in Iran, esattamente sette secoli dopo un altro viaggiatore italiano transitato da quelle parti, Marco Polo incantato sulla Via della Seta. Fabio Poletti
Bernardo Notarangelo
Un viaggiatore sovrappeso in Iran
Diario persiano
2024 Zolfo Editore
pagine 352 euro 19
Per gentile concessione dell’autore Bernardo Notarangelo e di Zolfo Editore pubblichiamo un estratto dal libro Un viaggiatore sovrappeso in Iran
Arrivo al Museo dei Tappeti attraversando il parco Laleh. Come già mi è successo nelle altre città vedo ragazzi e ragazze in atteggiamento tenero. Sarebbe stato impen- sabile nel mio primo viaggio, nel 1993: allora anche io, visitatore occidentale, portavo camicie rigorosamente con le maniche lunghe. Quelle con le maniche corte sono state sdoganate, credo, da un quindicennio. Allora era impensabile per un ragazzo e una ragazza camminare insieme per la strada, figuriamoci manifestare in pubblico il proprio affetto. Il cambiamento è difficile, ma si vede. Scopro però che in quest’area di Teheran la maggioranza delle ragazze non porta il velo.
In un angolo del parco si festeggia il compleanno di una bambina. Le madri sono tutte senza velo, tranne una. Chiedo se posso fare una fotografia e faccio gli auguri alla bambina. Mi invitano subito a sedermi con loro – caspita, dall’Italia!, welcome, abbiamo portato dei dolci, mangia con noi, ci fa piacere. Garbatamente rifiuto, dico che devo andare al museo, e poi sono grasso – man chagh hastam. Scoppiano tutte a ridere, anche le bambine.
“Dov’è la tua famiglia?” mi chiedono.
“In Italia“.
E perché non vengono con te?” Me lo hanno chiesto mille volte in questo viaggio.
“Mia moglie e mia figlia non verrebbero”.
“Perché?”
È difficile dire loro che è per via del velo, visto che oltretutto loro non lo portano. L’unica donna velata, che parla un buon inglese, mi dice: “Io ho viaggiato e penso di saperlo. Noi iraniani abbiamo un’immagine terribile: retrogradi, cattivi. Ma non è così”.
“Lo so”, dico io, “è il mio terzo viaggio qui. L’Iran è bello, ma se torno qui è anche perché voi siete meravigliosamente ospitali e generosi”.
Lei traduce, le donne sono quasi commosse. Io allora, approfittando del clima creatosi, chiedo alla donna col velo: “Lei è qui col velo, le sue amiche non lo portano. Per quale motivo? Cosa ne pensa?” Ma sua la risposta è per me inaspettata. “Io purtroppo il velo devo portarlo per forza. Sono molto religiosa, ma il velo non lo porterei. Però sono una dipendente pubblica, una insegnante, e se mi vedono senza velo posso avere problemi molto seri, per il mio lavoro. Per cui, cosa posso dire alle mie amiche? Loro fanno ciò che vorrei fare anche io”.
Le saluto, mi salutano. Poco distante vedo un’immagine che non dimenticherò: una madre, col velo, che accarezza i capelli della figlia che è a capo scoperto. In quello sguardo, in quella carezza, tutto l’amore di una madre. E in quell’immagine, la libertà a cui qui le donne aspirano.
Entro nel museo e vedo un una ventina di persone che sta ascoltando un uomo. Dai gesti di questo si capisce che sta illustrando al gruppo un tappeto. L’uomo non è alto, ma dal suo corpo, che si sposta da un capo all’altro del tappeto, dalle sue mani, che indicano i particolari, sprigiona un’energia magnetica. Scopro che è un professore, e che coloro che lo seguono stanno conseguendo il diploma di guida turistica. Le sue spiegazioni, molto par- tecipate, con numerose domande e risposte, sono in farsi, ma le guide parlano inglese, una parla perfino italiano! Così le seguo e mi si apre un mondo. Anche perché i tap- peti di questo museo sono di una bellezza straordinaria.
Accanto a ciascuno di essi c’è un biglietto che – anche in inglese – descrive l’area, l’anno presunto di produzione, i materiali, l’ampiezza, la densità dei nodi e il loro tipo (se simmetrico o asimmetrico).
Confesso una mia predilezione iconoclasta: io amo i tappeti puramente geometrici, o anche (ma è un “anche” titubante, il mio) quelli in cui la geometria è espressa at- traverso alberi e uccelli. L’albero della vita, i cipressi della libertà, gli uccelli simboli del Paradiso che qui, secondo la tradizione, è un giardino, forse immagine dell’Eden perduto. Ma oggi questa mia preferenza viene incrinata alla vista di alcuni tappeti figurativi di grande bellezza. Uno poi è davvero particolare: ritrae decine di persone, ciascuna contrassegnata da un numero. Intorno, come bordo, c’è scritto il nome di ciascuno. Si possono vedere Luigi XVI, Napoleone e, in alto, Gesù (Issa), insieme ad altri profeti, sapienti, santi.
Al termine, pranzo con due delle aspiranti guide, Ahmed e Fatemeh. Si parla un po’ di tutto: del futuro di questo Paese e oltre. Mi dicono che il Museo delle Porcellane e dei Vetri è meraviglioso, ma troppo c’è da vedere in questa Teheran che ho scoperto in questo mio terzo viaggio. Vorrei visitare la sinagoga. Ahmed è di Teheran e mi dice che ha già organizzato, su richiesta di qualche visitatore, un “tour di Teheran ebraica”. Fatemeh invece viene da Rasht, una città nel Nord del Paese. È religiosa, lo si deduce da come porta il velo, stretto a coprire davvero tutti i capelli. Parla un inglese impeccabile, si è laureata con una tesi sull’Ode di Wordsworth. Famiglia di credenti, lei molto assertiva. Affascinante per questo contrasto. Religiosa e femminista?
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