L’omosessualità è sempre stata legale in Turchia dalla sua fondazione e l’età del consenso sia per i rapporti eterosessuali che per i rapporti omosessuali è stata parificata a 18 anni fin dal 1858, ma, il codice penale contiene delle leggi sull'”esibizionismo pubblico” e sui “reati contro la pubblica morale” che vengono usati per maltrattare persone gay e transgender.
Inoltre le città turche hanno la possibilità di adottare leggi specifiche locali volte a proteggere “la pubblica moralità”. Una pratica molto diffusa soprattutto negli ultimi anni, quando il Paese guidato da Erdogan ha iniziato a seguire strettamente i precetti islamici, incoraggiando le donne a velarsi e dissuadendo il consumo di alcol nei locali pubblici. Di questa che appare una palese contraddizione, la politica e la società che negano diritti previsti dalla legge, si occupa il libro di Deniz Nihan Aktan, Turchia queer, pubblicato da Astarte. Deniz Nihan Aktan è nata in Turchia e vive in Italia dal 2017. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in Scienze Politiche e Sociologia presso la Scuola Normale Superiore. È anche membro del Centro Studi sui Movimenti Sociali COSMOS. Da diversi anni, sia in ambito accademico che come attivista, la sua attenzione è rivolta principalmente alla mobilitazione di atlete-attiviste queer-femministe per il loro diritto allo sport. Fabio Poletti
Deniz Nihan Aktan
Turchia queer
traduzione di Carolina Paolicchi
2024 Astarte
pagine 250 euro 18
Per gentile concessione dell’autrice Deniz Nihan Aktan e dell’editore Astarte pubblichiamo un estratto dal libro Turchia queer
Il 22 giugno 2014, sono stati appesi sul Ponte sul Bosforo, ora noto come Ponte dei Martiri del 15 luglio, una bandiera arcobaleno e uno striscione con la scritta “Gli omicidi trans sono omicidi di Stato”. Nonostante siano stati rimossi dalla polizia poco dopo, un arcobaleno è comunque apparso nel cuore di Istanbul e sulle acque turbolente del Bosforo. Lo stesso arcobaleno, che nel 2017 è tornato sul ponte grazie all’illuminazione voluta dalla Municipalità Metropolitana, per poi essere rimosso quasi subito a causa delle proteste, sta subendo oggi un attacco implacabile. Le persone LGBTI+, che lottano per avere il loro spazio sul ponte e in molte piazze della città, si vedono costrette ad affrontare una serie di ingiustizie che vanno dalla chiusura dei luoghi d’incontro alla cancellazione di eventi, dalla censura dei media ai crimini d’odio, dalle detenzioni ingiuste alle vessazioni continue. I cambiamenti sociali e politici che hanno avuto luogo nel Paese negli ultimi dieci anni hanno colpito negativamente una parte consistente della società, tra cui molti movimenti sociali e di difesa dei diritti umani. È arrivato il momento di fermarsi e guardare alla storia queer della Turchia.
Questo libro ha lo scopo di collocare la realtà LGBTI+ della Turchia odierna nel suo contesto storico: cosa significa essere LGBTI+ in Turchia? Cosa è cambiato nel corso degli anni? In che modo le persone LGBTI+ possono dire “esistevamo, esistiamo ed esisteremo” di fronte ai tentativi dello Stato di normalizzare il discorso anti-LGBT e di rendere le politiche di stato di emergenza uno strumento di oppressione quotidiana? Dove nascono i primi segnali di identità collettiva? Osservando il passato attraverso la lente della queerness, cosa vediamo essere stato cancellato o ignorato? Come è percepito e articolato il queer, e cosa c’è di queer in Turchia?
Ricostruire questa storia è oggi una necessità pressante. La comunità LGBTI+ non si è mai arresa, ma non è facile continuare a sperare in un futuro migliore. Tra attacchi violenti e incessanti, oppressione e stigmatizzazione, il passato è uno scrigno che custodisce i ricordi più preziosi. Guardare a questo passato dà speranza per il futuro e ci ispira a costruirlo “qui e ora”. Ciò non vale solo per la comunità LGBTI+ in Turchia, ma per tutte le componenti di una comunità transnazionale legata dall’esperienza condivisa di sopravvivenza e resistenza, ma separata dai confini nazionali. Credo che, ogni volta che ci sentiamo in trappola, dobbiamo guardare alla nostra storia di lotta e continuare a manifestare solidarietà nonostante (e con) tutte le nostre differenze.
Questo libro si pone due obiettivi principali. Per prima cosa, presenta il panorama di cento anni di configurazioni, pratiche ed esperienze che non rientrano nell’idea ciseteronormativa di genere e sessualità. In secondo luogo, crea uno spazio d’incontro attraverso cui chi legge può avere una prospettiva più completa sul passato e sul presente della Turchia queer, che può aprire a nuove possibilità di solidarietà. La speranza è che questo libro, indirizzato in modo particolare al pubblico italiano, contribuisca alla conversazione vitale tra i movimenti di due Paesi con simili contesti di contrazione della società civile, di sottrazione degli spazi pubblici alle persone, di attacchi d’odio che hanno come obiettivo l’esistenza e i diritti delle identità LGBTI+. È fondamentale trarre forza dai nostri punti in comune mentre assistiamo a un’ondata di retorica anti-LGBT e di politiche di destra.
Tuttavia, concentrarsi sulle somiglianze non deve cancellare o negare le differenze. Al contrario, l’eterogeneità di questa grande comunità transnazionale dovrebbe essere sfruttata per immaginare un futuro migliore, mettendo insieme l’esperienza delle varie lotte in realtà diverse, al di là delle questioni riguardanti prettamente genere e sessualità.
Pertanto, è fondamentale sia ascoltare voci dai margini dell’Europa, sia uscire dai confini epistemologici e culturali dell’Occidente. Si osserva come le argomentazioni contro le politiche anti-LGBT possano talvolta allinearsi alla retorica omo-nazionalista che vede “l’Occidente” come “il linguaggio primario e universale della libertà sessuale”, come commenta anche Maya De Leo. Questa posizione non solo apre la strada alla legittimazione di discorsi e pratiche razziste e xenofobe, ma nega anche l’autonomia e l’operato delle comunità LGBTI+ al di fuori dell’Occidente, bloccando qualsiasi possibilità di solidarietà orizzontale.
Si potrebbe affermare che tali argomenti siano una forzatura se utilizzati per inquadrare questo libro, dal momento che sotto molti punti di vista la Turchia è considerata parte dell’Europa. Questo è in parte vero, poiché in diversi ambiti il Paese – così come la comunità LGBTI+ – beneficia di rapporti con l’Europa. Come sarà spiegato nelle sezioni seguenti, anche i primi passi per una potenziale adesione all’Unione Europea, all’inizio degli anni Duemila, hanno avuto un effetto positivo per il movimento LGBTI+. Tuttavia, essendo situata ai margini sud-orientali del continente, la Turchia è attraversata da diverse tensioni sociali e politiche, e la sua posizione geopolitica le conferisce la qualifica largamente utilizzata di ponte tra Asia ed Europa.
Il concetto di ponte suggerisce un senso di connessione, una connotazione positiva: ha lo scopo di collegare terre, intrattenere relazioni e consentire alle persone di attraversare i confini. Ma cosa ne è del ponte stesso? Cosa succede sul ponte? Descrivere la Turchia come un ponte, e non solo come un Paese, è spesso accompagnato da una crisi identitaria a livello sociale. Lo smarrimento dato dall’essere europei o mediorientali e le infinite questioni di moralità e convivialità in un paese laico con l’89,5% della popolazione appartenente alla religione musulmana sono solo due esempi di questa crisi, che può portare a non sentirsi parte né di un gruppo né dell’altro, ma sempre in bilico tra i due. La mediazione della dualità è un compito impegnativo talvolta alienante, soprattutto se si svolge all’interno di un insieme complesso (in questo caso, una società eterogenea).
L’enfasi sull’identità del ponte allude anche a un senso di mobilità, che potrebbe rendere invisibile il fatto che esistano confini materiali per le persone che su quel ponte ci vivono. L’ironia sta nel fatto che lɜ cittadinɜ della Turchia non possono andare liberamente dall’altra parte del ponte, nonostante esso permetta alle persone di attraversarlo. Essendo nata e cresciuta lì, paragono il Paese a una persona a cui viene affidata una responsabilità estremamente importante, che comporta molta più stanchezza e ansia che non senso di appagamento. Più questa persona prende sul serio il compito, più le viene negato il diritto di lamentarsi. D’altra parte, se il ponte smette di funzionare, il delicato equilibrio si altera e le tensioni insite nelle dinamiche sociali e politiche vengono a galla. Negli ultimi anni la Turchia lo sta parzialmente sperimentando in diverse forme, come l’allontanamento dall’Europa e l’inasprimento dei discorsi contro di essa, e il ritiro o il mancato rispetto delle convenzioni legali a livello europeo.
Le persone LGBTI+ sul ponte non sono quindi esenti dalle tensioni. Sono coinvolte nel compito di mediare la dualità in virtù di svariati legami, strategici o autentici, in entrambi i continenti, ma allo stesso tempo non ricevono alcuna protezione legale e devono affrontare discriminazioni in molti ambiti. Ritengo che riconoscere la peculiare posizione della comunità LGBTI+ in Turchia all’interno della comunità LGBTI+ transnazionale sia il primo passo verso una solidarietà orizzontale. Questo libro si propone di contribuire a tale sforzo.
Secondo Heckert, “queer” deriva dal tedesco “quer”, attraverso, attraversare. Come ci ricorda, la concettualizzazione del ponte da parte delle femministe chicane ha ispirato il nesso tra l’atto di attraversare e il termine queer, poiché nei loro scritti il ponte è emerso per designare l’esperienza intersezionale di razza, genere, classe e orientamento sessuale, spesso considerate come categorie separate. Pertanto, l’atto di collegare realtà sociali diverse e di proporre una prospettiva relazionale complessa per capire il mondo può essere rivendicato come un’azione queer, al di là di questioni di genere e sessualità.
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