Ci vuole niente a diventare straniero senza muoversi di casa. Ne sanno qualcosa i goriziani che nel 1947 videro la loro città letteralmente tagliata in due dagli accordi tra gli Alleati e gli jugoslavi di Tito. Smembrare la città con una linea bianca e poi un muro, ben più longevo di quello di Berlino che sarebbe stato eretto solo 14 anni dopo, fu una di quelle scelleratezze della Storia difficile da comprendere. Alessandro Cattunar, insieme alla illustratrice Elena Guglielmotti che l’ha raccontato per immagini, in questa Storia di una linea bianca pubblicato da Bottega Errante Edizioni, ricostruisce la vicenda anche sulla base delle testimonianze di chi ha vissuto quello scempio in prima persona. Il libro è uscito alla vigilia della intitolazione di Gorizia e Nova Gorica insieme, Capitale Europea della Cultura 2025. Alessandro Cattunar, goriziano d’origine, è dottore di ricerca in Storia contemporanea e insegnante. Con l’Associazione Quarantasettezeroquattro, di cui è presidente, si occupa di public history cercando di raccontare il confine tra Italia e Jugoslavia servendosi di diverse forme espressive, dall’audiovisivo al teatro, dalla performance alle installazioni artistiche. È curatore dei progetti “Strade della memoria. Archivio della memoria dell’area di confine”, “Topografie della memoria. Museo diffuso dell’area di confine” e del museo multimediale “Lasciapassare/ Prepustnica”. Oltre ad articoli accademici ha pubblicato il volume Il confine delle memorie. Storie di vita e narrazioni pubbliche tra Italia e Jugoslavia 1922–1955 (Mondadori, 2014). Elena Guglielmotti è un’art director italo-slovena, oltre al suo impegno come progettista grafica, si dedica anche all’illustrazione e all’insegnamento. Ad aprire questo libro c’è un’immagine. Quella di una linea di gesso bianco che attraversa un cortile. Al centro del cortile, sopra alla linea, c’è una mucca. Ha due zampe da una parte e due zampe dall’altra. La bestia sembra indecisa, non sa da che parte stare. O, forse, ha saggiamente deciso di non scegliere, di non accettare una divisione innaturale di quella che è sempre stata la sua casa. La mucca non sa che quella linea divide due Stati, due modelli economici, due concezioni del mondo. La mucca non sa che quella linea che le passa sotto le zampe è il tratto conclusivo della cortina di ferro, e che è il frutto di eventi storici complessi e drammatici. La mucca non sa che anche i suoi padroni, come tutti gli abitanti di Gorizia, dovranno decidere se optare per l’Italia o per la Jugoslavia.
Questa è la storia di quella linea bianca, tracciata nel settembre 1947. Questa è la storia di una terra segnata dalla convivenza tra popoli e culture diverse. Una riflessione su quanto sia difficile scegliere da che parte stare, rinunciando a una parte di sé. Fabio Poletti

Alessandro Cattunar
illustrazioni di Elena Guglielmotti
Storia di una linea bianca
Gorizia, il confine, il Novecento
2024 BEE Bottega Errante Edizioni
pagine 400 euro 25

Per gentile concessione dell’autore Alessandro Cattunar e di Bottega Errante Edizioni pubblichiamo un estratto dal libro Storia di una linea bianca.

Calce e paletti di legno

La mattina del 16 settembre 1947, Luigi Z. viene svegliato da un rumore forte e insistente proveniente dal suo cortile. Come un martellare.
Luigi si alza dal letto e si affaccia alla finestra. Effettivamente nella sua proprietà ci sono due uomini, con una grande mazza, che stanno piantando dei paletti di legno.
I due uomini sono in divisa. Luigi ci mette qualche secondo a riordinare le idee. Sono soldati americani.
«Chiedo scusa, cosa state facendo nel mio cortile?» esordisce Luigi, dalla finestra. La risposta è chiara, anche se formulata in un italiano stentato: «Stiamo tracciando il nuovo confine. Sapevate che il giorno era oggi».
Luigi è stordito. Certamente è consapevole, come sono consapevoli tutti i goriziani, che quelli tra il 15 e il 16 settembre sarebbero stati i giorni della nascita del nuovo confine. Il confine deciso e tracciato su una mappa il 10 febbraio sarebbe diventato un segno fisico sul terreno. Una linea bianca di calce, una serie di paletti di legno, filo spinato. Luigi è consapevole, eppure non si capacita.
«Ma perché lo fate passare proprio nel mio cortile? Non potete spostarvi venti metri più in là?» domanda il contadino. I due soldati si scambiano uno sguardo ironico, come per dire “ci risiamo, ecco i soliti italiani…”, e gli indicano la cartina che hanno in mano.
«È segnato che il confine deve passare per di qua». E il martellare riprende. Luigi scende nel cortile, chiede spiegazioni, cerca di mediare. La sua abitazione, insieme a una piccola parte delle terre direttamente connesse alla casa, rimarrà in Italia, mentre l’area coltivata più estesa su cui sorgono alcuni capanni di servizio verrà a trovarsi in territorio jugoslavo.
I soldati lo tranquillizzano, gli spiegano che la parte di terra che ricadrà “di là” rimarrà di sua proprietà, potrà continuare a coltivarla. Sarà sufficiente, ogni mattina, attraversare il valico e raggiungere il suo appezzamento dall’altra parte. A sera, potrà rientrare a casa facendo il percorso a ritroso.
Poi, i due soldati gli spiegano anche che non potrà coltivare viti e alberi da frutto. «Perché le viti no?» chiede Luigi.
Perché le piante vengono su troppo alte. E quindi c’è il rischio che qualcuno ci passi in mezzo, mimetizzandosi, per attraversare la frontiera.
Luigi, lungo quella linea bianca, potrà coltivare solo insalata, zucchine. Piante basse, insomma.
Luigi non si rende conto, ancora, che in qualche modo sarà un privilegiato. Infatti, solo i contadini, solo chi ha qualcosa da coltivare “dall’altra parte”, nei successivi cinque anni avrà la possibilità di attraversare quella linea bianca, grazie a un lasciapassare agricolo.
Della mattina del 16 settembre 1947 Dario Culot ricorda innanzitutto una telefonata. La signora G., proprietaria della tratto- ria Transalpina, sta cercando il padre di Dario, professione: avvocato.
«Signor avvocato, venga, venga, che qui sembra che mi vogliano tagliare la pro- prietà!» sente urlare al telefono.
Dario intuisce che sta succedendo qualcosa di importante e segue il padre. Entrambi prendono la bicicletta e si precipitano in piazza della Transalpina. A pochi passi dal rigoroso edificio asburgico, proprio davanti all’ingresso dello storico albergo goriziano, trovano i soldati americani, mappa alla mano, intenti a individuare il punto preciso in cui far passare la nuova linea divisoria. Nei ricordi di Dario si tratta di una mappa con scala 1:250.000, di tipo automobilistico. Non troppo dettagliata. Non è del tutto chiaro dove debba passare la divisione. Si tratta di un’area delicata. C’è la stazione della linea che unisce Trieste con il centro dell’Europa. E poi passa il binario del tram. La trattoria affaccia sul piazzale e ha un giardino. Nel giardino si trova un bunker, costruito durante la guerra. I militari alleati sembrano intenzionati a lasciare in Jugoslavia, oltre alla stazione nord – la Transalpina, appunto –, anche il bunker. E quindi tutta la piazza. E infatti la signora G. ha paura.
Il padre di Dario, lo abbiamo già conosciuto, è una personalità importante a Gorizia. Tutti lo conoscono. Dirigente del
Lo spazio diviso partito popolare negli anni dal 1920 al 1926. Consigliere comunale e due volte assessore comunale prima del fascismo. Rappresentante della DC all’interno del CLN di Gorizia e protagonista del conflitto che si apre quando l’OF pretende di prendere il controllo della città. In quel momento, in quel settembre del 1947, è membro del Consiglio di Zona e nelle settimane precedenti ha avuto modo di assistere ad alcune sedute dei trattati di pace di Parigi.
Angelo parla con i soldati. Cerca di capire, di mediare. Qualche margine di discussione sembra esserci. Proprio perché quella linea tracciata con la matita non è chiaro cosa lasci da una parte e cosa dall’altra.
Nel frattempo, Dario vede volare dei materassi. Letteralmente. Dei materassi vengono lanciati fuori dalla finestra al secondo piano di una casa a pochi metri di distanza. Insieme ai materassi altri oggetti che Dario non riesce a distinguere. La paura di rimanere “di là” è tanta. E le persone compiono gesti irrazionali.
Alla fine della discussione con l’avvocato e dopo essersi consultati con i comandi militari, i soldati decidono di lasciare la trattoria Transalpina e le case adiacenti in Italia.
La linea bianca taglierà a metà il piazzale. Ma i materassi potranno essere riportati in camera.

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