Prima che qualcuno si indigni perché pubblichiamo la recensione di un pamphlet di un autore russo – ci sono state polemiche su Dostoevskij, come se le colpe dei Putin possano ricadere sugli avi – lo invitiamo a leggere le poche righe dell’estratto che abbiamo scelto, pubblicato nel volume di Leone Tolstòj edito da Mattioli 1885 e appena uscito sotto il titolo “Patriottismo o pace?”. L’attualità del pensiero di uno dei più grandi scrittori della storia è evidente. Se alla Russia degli zar in guerra col Giappine, sostituite lo zar Putin che invade l’Ucraina, il pensiero di Tolstoj non fa na grinza. Il suo non è solo la visione di un pacifista guidato dalla fede, a cui era arrivato negli ultimi anni della sua vita. La sua è un’analisi filosofica, politica e sociale, che resiste pure alle giravolte della storia. Lev Tolstòj (1828-1910) è stato uno scrittore, filoso, educatore e attivista sociale russo. Divenuto celebre in patria grazie a una serie di racconti giovanili sulla realtà della guerra, il nome di Tolstòj acquisì presto risonanza mondiale per il successo dei romanzi “Guerra e pace” e “Anna Karenina”, a cui seguirono altre sue opere di narrativa, sempre più rivolte all’introspezione dei personaggi e alla riflessione morale. La fama di Tolstòj è legata anche al suo pensiero pedagogico, filosofico e religioso, da lui espresso in numerosi saggi e lettere che ispirarono, in particolare, la condotta nonviolenta dei tolstoiani. In questo volume sono raccolti due articoli e una lettera, tre dei testi meno noti ma sorprendentemente attuali di Tolstòj. In “Ravvedetevi!”, scritto nel 1904 in seguito allo scoppio del conflitto russo-giapponese, Tolstòj dichiara come il governo, con il pretesto del patriottismo, diffonda odio verso altre nazionalità. In “Le due guerre”, del 1898, l’autore si concentra sul conflitto ispano-americano e invita il lettore a portare avanti un’incruenta “guerra contro la guerra”. Chiude la raccolta “Patriottismo o pace?”, del 1896: rispondendo al giornalista britannico J. Manson, lo scrittore commenta la crisi venezuelana del 1895. Un’esortazione ad aprire gli occhi sul pericolo di nuovi e sempre più sanguinosi conflitti. Ricredersi, convertirsi, a questo invita con decisione Lev Tolstòj. Ma quella del grande scrittore russo non è solo una denuncia. Il suo pensiero va oltre, fino a suggerire l’approccio per risolvere ogni conflitto: «Tutte le argomentazioni antimilitariste possono fare molto poco per fermare la guerra. È come offrire considerazioni eloquenti e persuasive a dei cani da combattimento, insistendo che è più vantaggioso dividere il pezzo di carne per il quale stanno lottando piuttosto che mutilarsi a vicenda e farselo portar via da qualche altro cane di passaggio che non si era neppure unito alla lotta». Fabio Poletti
Lev Tolstòj Patriottismo o pace? traduzione di Verdiana Neglia Prefazione Paolo Nori 2023 Mattioli 1885 pagine 128 euro 10Per gentile concessione dell’editore Mattioli 1885 pubblichiamo un estratto dal libro Patriottismo o pace?.
Ancora guerra. Ancora sofferenze immotivate, delle quali nessuno beneficia; ancora menzogne; ancora gente inebetita e inferocita. Centinaia di migliaia di individui, separati tra loro da decine di migliaia di verste – da una parte i buddisti, la cui legge proibisce non solo di uccidere le persone, ma anche gli animali; dall’altra i cristiani, che professano la legge della fratellanza e dell’amore – i quali, come bestie selvagge, via terra e via mare, cercano di uccidersi, torturarsi e mutilarsi nei modi più crudeli. Cos’è tutto questo? È un sogno o è la realtà? Sta accadendo qualcosa che non dovrebbe accadere, che non può essere; vorrei fosse un sogno da cui potersi svegliare. Eppure, non è un sogno, ma una terribile realtà. Si riesce a capire come un giapponese povero, privo di istruzione, possa venire ingannato, indottrinato a credere che il buddismo non consiste nella compassione per tutti gli esseri viventi, ma nel sacrificio agli idoli; o come un omino analfabeta di Tula o Nižnij Novgorod possa essere indottrinato, allo stesso modo, a pensare che il cristianesimo consiste nel culto di Cristo, della Vergine Maria, dei santi e delle loro icone. È comprensibile che questa povera gente, abituata da secoli di violenze e inganni a riconoscere il più grande crimine della storia – l’assassinio di altri fratelli – come un’azione valorosa, possa commettere simili, terribili atti senza considerarsene colpevole. Ma come possono i cosiddetti uomini illuminati predicare la guerra, promuoverla, parteciparvi senza minimamente esporsi ai pericoli (è questa la cosa peggiore), fomentarla e mandarvi incontro i propri fratelli, infelici e ingannati? Dopotutto, questi cosiddetti illuminati non possono ignorare non dico la legge cristiana, se si professano suoi confessori, ma tutto ciò che è stato scritto e viene scritto, ciò che è stato detto e viene detto sulla crudeltà, l’inutilità, l’insensatezza della guerra. Non vengono forse considerate persone illuminate proprio perché sanno tutto? La maggior parte di loro ha scritto o discusso di questo argomento. Per non parlare della Conferenza dell’Aia, universalmente celebrata, e di tutti i libri, gli opuscoli, gli articoli di giornale, i discorsi che hanno palesato la possibilità che le incomprensioni internazionali vengano risolte da tribunali internazionali. Tutte queste persone illuminate sono consapevoli che l’armamento generale degli Stati l’uno contro l’altro conduce, senza fallo, a guerre interminabili, o alla bancarotta generale, o a entrambe le cose; sanno che, oltre allo spreco sciocco e insensato di miliardi di rubli – ossia di una grande quantità di risorse umane – per prepararsi al conflitto, periscono milioni di uomini energici e vigorosi nel momento della loro vita più adatto a svolgere un lavoro produttivo (le guerre del secolo scorso hanno portato a una perdita di quattordici milioni di uomini). Le persone illuminate non possono non essere consce del fatto che le motivazioni che spingono alla guerra sono sempre motivazioni per le quali non vale la pena sprecare non solo una singola vita umana, ma neppure un centesimo del denaro speso per i conflitti (la liberazione dei neri è costata molto di più di quanto non sarebbe costato il riscatto di tutti i neri del Sud). Tutti sanno – non possono non saperlo – che le guerre suscitano nelle persone le passioni più depravate e animalesche, le corrompono, le brutalizzano. Tutti conoscono la natura poco convincente delle argomentazioni a favore della guerra; basti pensare a quelle addotte da De Maistre, Moltke e altri, che si basano sul sofisma secondo il quale in ogni disgrazia umana si possa trovare un lato positivo, o sull’affermazione del tutto arbitraria che le guerre ci sono sempre state e quindi ci saranno sempre, come se le cattive azioni degli uomini potessero essere giustificate dalle conclusioni e dai benefici che portano o dal fatto che sono state combattute per lungo tempo. Tutti i cosiddetti illuminati lo sanno, ma all’improvviso scoppia una guerra e dimenticano ogni cosa. Coloro che fino a ieri sottolineavano la crudeltà, l’inutilità, la follia delle guerre, ora pensano, parlano e scrivono solo di come sconfiggere il maggior numero possibile di avversari, rovinare e distruggere le opere dell’ingegno umano, e come fomentare il più possibile la misantropia nelle persone pacifiche, innocue e laboriose che con il loro lavoro sfamano, vestono e sostengono proprio questi soggetti pseudo-illuminati, gli stessi che le costringono a commettere atti terribili, contrari alla loro coscienza, al loro bene e alla loro fede. © 2023, Mattioli 1885