C’è un filo rosso – spesso rosso come il sangue – che unisce la Francia e l’Africa. Da Napoleone con la Campagna d’Egitto, per limitarci alla storia moderna, le mire di Parigi sul Continente nero sono andate avanti per un secolo assai abbondante. Dall’altra parte l’Africa colonizzata, come una spugna si è imbevuta della cultura francese – in molti Paesi è la lingua ufficiale – senza mai perdere la propria identità. Di questo rapporto, che è fatto di cultura, letteratura, cinema, musica e politica, trattano le “Otto lezioni sull’Africa” di Alain Mabanckou, pubblicate dalle Edizioni e/o. Alain Mabanckou è un saggista, poeta e romanziere congolese. Si trasferisce in Francia nel 1989 per completare gli studi e nel 2016 gli viene assegnata la cattedra di Création artistique presso il Collège de France. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il Prix Renaudot, il Prix Georges Brassens e il Grand Prix de Littérature Henri Gal, conferitogli dall’Académie française. Nel 2015 è stato finalista al Man Booker International Prize ed è entrato nella cinquina del Premio Strega Europeo con Pezzi di vetro, pubblicato in Italia da 66thand2nd. Oggi insegna Letteratura Francofona all’Università della California. Il libro contiene le lezioni tenute da Alain Mabanckou al Collège de France nel 2016, la lettera aperta scritta nel gennaio 2018 a Emmanuel Macron per rifiutare la proposta di partecipare a un progetto sulla Francofonia, e l’intervento per il Monumento agli eroi dell’Armata nera, pronunciato a Reims il 6 novembre 2018. Lettura appassionante perché permette di scoprire tanti aspetti della letteratura africana di lingua francese, soprattutto in relazione a temi come i bambini soldato o la scrittura dopo il genocidio del Ruanda. L’autore denuncia il perpetuarsi dell’idea colonialista secondo la quale le letterature africane scritte nelle lingue europee sarebbero solo dei satelliti delle letterature prodotte in Europa. Invece Alain Mabanckou, in queste lezioni, ci dimostra il contrario, presentandocele come ricche, diversificate e portatrici di una voce “altra”, in grado di offrire molto alle letterature europee. Alla fine una grande forza identitaria, che né Napoleone né gli invasori che si sono succeduti, sono riusciti a piegare. Perché, come spiega Alain Mabanckou: «La negritudine non è principalmente una questione di neri tra i neri, ma un modo di riconsiderare il nostro umanesimo». Fabio PolettiAlain Mabanckou
Otto lezioni sull’Africatraduzione dal francese di Lorenzo Alunni2023 Edizioni e/o
pagine 224 euro 18

Per gentile concessione dell’autore Alain Mabanckou e delle Edizioni e/o pubblichiamo un estratto dal libro Otto lezioni sull’Africa.La Negritudine a ParigiNella Parigi degli anni Trenta la Negritudine è prima di tutto una scuola poetica. Questo perché coloro che la promuovono – Léopold Sédar Senghor, Aimé Césaire e Léon-Gontran Damas – sono innanzitutto poeti, e la poesia appare come il genere più diretto, il più adatto. Tale orientamento potrebbe mettere in secondo piano il fatto che si trattasse di uno slancio destinato a riunire gli intellettuali neri sul piano letterario, culturale e politico con l’obiettivo di spingere per la decolonizza- zione del continente nero. La questione era, come precisa la studiosa Catherine Ndiaye, “mobilitarsi contro la negazione dei valori africani attraverso l’ideologia eurocentrica e razzista e di questo secolare e specifico razzismo antinegro che il bianco aveva avuto bisogno di sviluppare per giustificare la tratta, la schiavitù e poi la colonizzazione”.La Negritudine si presentava allora come una lotta contro l’assimilazione culturale e come un’arma “miracolosa” per la liberazione e il riconoscimento del pensiero nero.All’inizio del XX secolo, e in particolare durante i cosiddetti “Anni folli”, con l’esposizione delle Arti decorative del 1925 e l’esposizione coloniale del 1931, l’Europa scopre a poco a poco l’arte negra grazie ai cubisti e la musica del mondo nero attraverso il jazz. Alcuni scrittori neri o europei salgono alla ribalta delle cronache, come per esempio René Maran, che riceve nel 1921 il premio Goncourt per il suo romanzo Batouala o ancora, lo stesso anno, Blaise Cendrars, che pubblica Anthologie nègre, testimoniando una parentela della letteratura orale africana con le tradizioni delle civiltà primitive bianche.La Negritudine era insomma riuscita in una buona operazione di comunicazione fra le due guerre, momento in cui Senghor, Césaire e Damas, pur senza possibilità economiche, inventarono uno di quei concetti che, ottant’anni dopo, rimane ancora di attualità.Sentiamo come Césaire narra le circostanze del suo incontro con Senghor:Era, ricordo, un giorno dell’autunno parigino; l’ambientazione: la salita di rue Saint-Jacques e il palazzo austero del liceo Louis-le-Grand. Ero arrivato solo quindici giorni prima dalla mia isola natale… un po’ disorientato, un po’ intimidito da quel posto così austero, se non scoraggiante. E poi, all’improvviso, il mondo s’illumina come con un sorriso, un giovane mi viene incontro, è un africano, un senegalese… Mi prende per le spalle e, con la sua voce dalla melodia così particolare, mi dice: allora, fratello mio, da dove vieni?«Da dove vieni?»: la domanda ha un significato profondo, perché la Negritudine era anche un modo di dichiarare le proprie origini, di “urlarle”, di farle esplodere davanti agli occhi del mondo con tutta l’energia e l’orgoglio necessari.E Césaire se ne farà carico nel suo Diario di un ritorno al paese natale:E quella voce afferma che l’Europa per secolici ha ingozzati di menzogne e gonfiati di pestilenze, perché non è vero che l’opera dell’uomo è finitache non abbiamo nulla da fare in questo mondoche siamo i parassiti del mondoche dobbiamo metterci al passo col mondoinvece l’opera dell’uomo è appena iniziatae l’uomo deve ancora vincere la proibizione immobilizzata negli angoli del suo fervoree nessuna razza possiede il monopolio della bellezza, dell’intelligenza e della forza.Damas si unirà poco dopo al duo, come racconta Jacqueline Sorel:Aimé Césaire, nativo di Fort-de-France, è arrivato in terra francese dopo Senghor. È più giovane, più suscettibile, e gli piacciono le grandi epopee. Léon-Gontran Damas, di origine guianese, è una testa calda. Il suo temperamento lo porta all’aggressività e al combattimento. Accanto a lui, Senghor fa la figura del pensatore.In Francia, sempre in quegli anni Trenta, i neri si esprimono ne La Revue du Monde Noir (1931). Rivista bilingue (francese e inglese), è stata cofondata dal dottor Sajous, di origini liberiane, con l’aiuto delle martinicane Andrée e Paulette Nardal. Purtroppo, a causa della scarsità di mezzi, la pubblicazione conterà solo sei numeri. Le succederà un’altra rivista degli antillesi di Parigi, Légitime Défense (1932). Più radicale, più politica, ne uscirà solo un numero, minacciata dalle autorità francesi, che si spingeranno fino a revocare le borse di studio degli studenti coinvolti in quell’avventura. Aimé Césaire, allora presidente dell’associazione degli studenti antillesi, non sarà d’accordo con i dirigenti di quella rivista. Cosa che lo spingerà a fondare L’Étudiant noir (1935), che difenderà in questo modo:Che ci fosse una piccola rivista corporativa, che si chiamava L’Étudiant martiniquais, e allora io ho deciso di allargarla e chiamarla L’Étudiant noir, proprio per contare sulla collaborazione di neri che non fossero solo martinicani, per ampliarla al mondo intero […], e questo significa che la Negritudine stava già un po’ sostituendo l’ideologia assimilazionista.Légitime Défense e La Revue du Monde Noir rappresentavano insomma le tendenze ideologiche degli studenti neri dell’epoca. La differenza fra le due riviste? Senghor spiegherà nel 1960 che L’Étudiant noir affermava la priorità e il primato del culturale, intendendo la politica come un aspetto della cultura, mentre Légitime Défense sosteneva una sorta di cambiamento politico radicale che precedesse la cultura. Ma dobbiamo riconoscere a L’Étudiant noir la capacità di vedere un panorama più ampio, di unire i neri al di là del loro paese d’origine e del loro luogo geografico.Titolo originale: Huit leçons sur l’Afrique © Éditions Grasset & Fasquelle, 2020© 2023 by Edizioni e/o