Il titolo è volutamente ambizioso. Perché c’è il mondo che vorrebbe sapere cosa c’è nella testa di Vladimir Putin, il presidente russo che dal 24 febbraio scorso, giorno dell’invasione dell’Ucraina, monopolizza il dibattito politico ed economico. Aggiornato fino al marzo di quest’anno, all’inizio della guerra, Nella testa di Vladimir Putin, pubblicato dalle edizioni e/o, non è solo la biografia di questo ex agente del KGB diventato presidente della Russia nel 2000, ma tiene conto delle analisi di studiosi e politologi, alcuni ancora sconosciuti in Occidente. Michel Eltchaninoff, nato in Francia da una famiglia di origini russe è stato docente alla Sorbona di Filosofia russa. Oggi è caporedattore di Philosophie Magazine. Nel 2016 ha fondato l’associazione Les Nouveaux Dissidents. In questo suo ultimo libro ci spiega l’evoluzione del pensiero dello Zar di Russia, come viene definito Vladimir Putin, nazionalista fino al midollo, passato da integerrimo comunista a posizioni militariste. Nel novembre 1989, quando già stava cadendo il Muro di Berlino, l’allora capo della divisione tedesca del KGB chiedeva ancora a Mosca mezzi e militari per frenare il disfacimento dell’URSS. Da allora la vita di Vladimir Putin è stata in ascesa come un missile Sputnik. Con qualche giravolta che agli analisti occidentali desta più di una perplessità. Se nei suoi due primi mandati al Cremlino, Vladimir Putin sembrava essere il leader liberista e democratico che tanto piaceva a Ovest, oggi il presidente russo incarna il peggio che c’è in termini di repressione e oppressione. I nemici interni vengono finiti a pistolettate come la giornalista Anna Politkovskaja, altri sono sottoposti alla cura del polonio radioattivo come l’agente Aleksandr Litvinenko, altri ancora finiscono in carcere come Alexei Navalny, il principale avversario politico di Vladimir Putin, condannato a nove anni di reclusione. Quelli esterni finiscono come l’Ucraina, il Paese che non esiste secondo il leader del Cremlino che da sempre lo rivendica come Novaja Russia, agganciato alla Federazione. Nel libro Michel Eltchaninoff affronta anche i perimetri politici e filosofici del pensiero di Vladimir Putin, convinto che la Russia debba essere sempre più forte e temuta dal mondo. Come ai tempi dello Zar prima ancora che dell’impero sovietico. Fabio Poletti Michel Eltchaninoff Nella testa di Vladimir Putin traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca 2022 edizioni e/o pagine 176 euro 15
Per gentile concessione dell’autore Michel Eltchaninoff e dell’editore e/o pubblichiamo un estratto dal libro Nella testa di Vladimir Putin.
L’inasprimento comincia nell’aprile del 2021 con lo spostamento di truppe russe sul confine ucraino, episodio iniziale di tensione che dà luogo a un primo incontro tra Vladimir Putin e Joe Biden a Ginevra. A luglio Putin indossa di nuovo i panni dello storico e si autopubblica in un articolo sul sito del Cremlino dedicato “all’unità storica di russi e ucraini”, un tema che porta avanti da anni. Ribadisce che il “muro” eretto secondo lui “in mezzo a un unico spazio storico e spirituale” russo- ucraino è “una tragedia”. Il termine è forte e fa tornare in mente la sua famosa dichiarazione sulla “più grande tragedia del Novecento”, il crollo dell’Unione Sovietica. La frattura è stata causata “dai nostri stessi errori commessi in periodi diversi” riconosce, e subito dopo aggiunge che la separazione in due aree è anche “il risultato di un lavoro deliberato di forze che hanno sempre puntato a spezzare la nostra unità”. Qui riprende le tesi di Ivan Il’in sui tentativi dell’Occidente di strappare l’Ucraina alla Russia e farla passare sotto il proprio dominio. In una dichiarazione d’amore ben collaudata il “giornalista storico” Putin, rifacendosi alla storiografia imperiale russa dell’Ottocento, ricorda che “russi, ucraini e bielorussi sono gli eredi dell’antica Rus’, che è stato il più importante Stato europeo” dal IX al XIII secolo. “Parlavano la stessa lingua” e dopo il battesimo del principe Vladimir hanno adottato “la stessa fede ortodossa” da Novgorod a Kiev e oltre. “Kiev è la madre delle città russe” ripete citando la celebre formula attribuita al principe Oleg. Putin omette di precisare che la suddetta Rus’ era in realtà multietnica, che superava ampiamente i territori dell’attuale Ucraina e che non esiste necessariamente una continuità tra quella confederazione di principati e la Russia che si è costruita intorno a Mosca nel XIII secolo. La cosa importante per lui è insistere sull’unità inalienabile e storicamente accertata tra i due popoli. “Non c’è posto per un’Ucraina sovrana”. Dato che il suo testo suscita numerose interpretazioni l’autore specifica sempre sul sito del Cremlino: “Non è esagerato dire che questa corsa a un’assimilazione violenta, verso uno Stato ucraino etnicamente puro e aggressivo nei confronti della Russia, è paragonabile, quanto a conseguenze, all’utilizzazione di armi di distruzione di massa contro di noi (…). Le astuzie associate al progetto antirusso ci sono chiare. Non permetteremo mai che i nostri territori storici e le persone che ci sono care e vivono lì siano utilizzati contro la Russia. E a coloro che faranno un tentativo del genere voglio dire che così distruggeranno il loro paese”. Conclusione: in autunno altre truppe vengono inviate al confine con l’Ucraina. Il 21 ottobre 2021 in occasione del suo discorso dottrinale al forum annuale del Valdai Club, che riunisce gli esperti internazionali della Russia a Soči, Putin sostiene che i trent’anni che ci separano dal crollo dell’Unione Sovietica e dalla fine della guerra fredda permettano un giudizio storico obiettivo. Secondo lui l’Occidente ha platealmente perso l’occasione e imboccato la strada sbagliata. Sul piano internazionale l’ebbrezza dei vincitori della guerra fredda e la loro sensazione di ritrovarsi “sull’Olimpo” si sono risolte in crudeli disillusioni. Il presidente russo cita le due guerre condotte dagli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan: la prima ha fatto nascere l’ISIS, la seconda ha visto l’esercito americano scappare con la coda tra le gambe abbandonando il paese ai talebani. Sul piano economico e sociale l’aumento delle disuguaglianze in Occidente – anche se Putin trascura di dire che sono molto più evidenti nel suo paese – spiegherebbe tensioni, frustrazioni, estremismi e manifestazioni contro le misure sanitarie. Lascia capire che in confronto la Russia si trova in una situazione molto più stabile. Sul piano ideologico, infine, l’Occidente avrebbe tradito i propri princìpi. Citando la mancanza di collaborazione internazionale per combattere la pandemia di Covid-19 Putin si rammarica che il suo vaccino non sia stato autorizzato in molti paesi e denuncia l’egoismo degli Stati occidentali. Questa sconfitta dell’Occidente ha una base morale e spirituale, come dimostrano il successo del “wokismo” e la rinascita della lotta contro le discriminazioni razziali e di genere nei paesi occidentali. Putin drammatizza la lotta contro un Occidente secondo lui impazzito. In Russia i “valori tradizionali” sono contenuti nella nuova costituzione. Il presidente ha parole dure nel biasimare la volontà, nei paesi occidentali, di operare una “‘discriminazione invertita’ a discapito della maggioranza e in favore delle minoranze… il rifiuto di nozioni basiche come quella di mamma, papà, famiglia e perfino distinzione tra i sessi. (…) Chiediamo semplicemente che non si ficchi il naso a casa nostra” conclude. Gli occidentali sono bambini disorientati e viziati. La Russia è un paese adulto e responsabile. Il presidente ribadisce in tutta tranquillità la sua dottrina: «Ho già detto da qualche parte (…) che eravamo guidati dall’ideologia di un sano conservatorismo». Si riferisce alla svolta del 2013, “quando le nuvole cominciavano ad addensarsi”, in particolare con i progetti occidentali di matrimonio omosessuale. Nel corso del successivo dibattito con il pubblico qualcuno domanda al presidente quali siano i suoi filosofi prediletti. È quasi imbarazzato nel citare di nuovo Ivan Il’in, il profeta di una Russia postsovietica capace di resistere agli appetiti dell’Occidente: «Non vorrei dire che mi rifaccio solo a Ivan Il’in, però sì, continuo a leggerlo», e specifica di avere sempre un suo libro a portata di mano. Cita anche Berdjaev, di cui apprezza la carica antirivoluzionaria e il conservatorismo ontologico di Filosofia della disuguaglianza (a costo, come abbiamo visto, di un controsenso). Torna pure su un concetto già citato nei suoi grandi discorsi, quello della passionarietà di Lev Gumilëv. Solo pochi mesi prima ha di nuovo proclamato la sua adesione all’idea: “Credo alla passionarietà, alla teoria della passionarietà. In natura come nella società c’è uno sviluppo, un apogeo e un declino. La Russia non ha ancora raggiunto il proprio apogeo. Siamo in cammino, in marcia verso lo sviluppo”. Secondo lui la Russia ha in sé la potenza di un popolo giovane: “Possediamo un codice genetico infinito” dice. Sempre che l’Occidente, invidioso della vitalità russa, non impedisca alla Russia di svilupparla come merita. Titolo originale: Dans la tête de Vladimir Poutine © Actes Sud, 2015 © 2022 by Edizioni e/o