Nel giorno in cui i credenti di tutto il mondo si inginocchiano davanti alla nascita del Creatore, con questo libro parliamo dell’isola dove non si nasce. Lampedusa non è Betlemme, i migranti non arrivano a dorso d’asino ma attraversano il mare. Il vissuto delle donne migranti, che approdano sull’isola in stato di gravidanza più o meno avanzata, è parte importante di questa ricerca condotta per lungo tempo da Chiara Quagliarello in questo libro, L’isola dove non si nasce Lampedusa tra esperienze procreative, genere e migrazioni, recentemente pubblicato da Unicopli. Vivere il parto lontano dalla propria terra di origine è elemento straniante. Per non parlare delle violenze subite, anche da sedicenni a volte non più che ventenni, spesso nigeriane, vioentate prima di essere avviate alla prostituzione di strada dietro ricatti familiari o antichi riti. Violenze a cui non di rado conseguono gravidanze sicuramente indesiderate ma con nessuna possibilità di essere interrotte. Ma c’è molto altro in questo lavoro di Chiara Quagliarello, dottoressa di ricerca in Antropologia, titolare della borsa Marie Skłodowska-Curie presso l’EHESS di Parigi e la City University di New York. I suoi temi di ricerca includono l’evento nascita, la salute riproduttiva, le disuguaglianze di genere, classe ed etnia, le migrazioni femminili dal continente africano. Studiando sul campo la realtà femminile vista attraverso l’occhio delle donne di Lampedusa e delle migranti che arrivano sull’isola, Chiara Quagliarello si è trovata davanti il pregiudizio, più o meno motivato, delle donne siciliane che preferiscono andare a partorire altrove, lontane da Lampedusa dove ritengono che le strutture sanitarie e gli strumenti per la diagnostica prenatale, siano assai obsolete. Mentre al contrario, per le partorienti migranti, da decenni sotto l’occhio attento dei media, ci sarebbero invece strutture sanitarie adeguate e macchinari di più recente costruzione e dunque più affidabili. Ci troveremmo dunque di fronte a un “prima le migranti”, che ha portsto Lampedusa, almeno per quanto riguarda le donne siciliane, a partorire altrove, in maggiore sicurezza, relegando la propria terra di origine a isola dove semplicemente non si nasce più. Fabio Poletti

Chiara Quagliarello
L’isola dove non si nasce
Lampedusa tra esperienze procreative, genere e migrazioni
2021 UNICOPLI
pagine 302 euro 22

Per gentile concessione dell’autrice Chiara Quagliarello e dell’editore Unicopli pubblichiamo un estratto dal libro L’isola dove non si nasce.

Il primo degli elementi su cui poggia l’atteggiamento di ostilità mostrato dalle giovani donne di Lampedusa nei confronti della popolazione delle migranti-richiedenti asilo in gravidanza ha a che fare con la presenza di un sistema di assistenza parallelo, rispettivamente destinato alle donne dell’isola e alle donne straniere.
L’esistenza di due servizi materno-infantili presso il Poliambulatorio dell’isola, uno per le donne di Lampedusa e l’altro per le straniere, è oggetto di critica tra la popolazione locale. Un primo elemento menzionato dalle donne intervistate è la diversa organizzazione degli spazi in cui le donne di Lampedusa e le donne straniere sono assistite presso il Poliambulatorio. In particolare, l’idea sostenuta dalle giovani lampedusane è che gli spazi in cui avvengono le visite ostetriche-ginecologhe delle donne straniere sono spazi più nuovi e meglio attrezzati rispetto a quelli utilizzati per le visite mediche alle donne di Lampedusa.
La maggiore qualità degli ambulatori destinati alle straniere emergerebbe non solo dall’arredamento degli spazi e dalle tonalità dei colori scelti per i disegni alle parenti, ma anche dal tipo di dispositivi tecnologici presenti al loro interno. Un esempio spesso menzionato a difesa di un tale ragionamento è la presenza di apparecchi ecografici, considerati come più o meno moderni, presso i due servizi materno-infantili. Mentre gli apparecchi ecografici utilizzati nel servizio materno-infantile destinato alle straniere sono definiti come apparecchi di ultima generazione, quelli impiegati nel servizio dedicato alle donne dell’isola sono descritti, all’opposto, come dispositivi più vecchi, meno precisi e meno efficaci dei primi.
Alessia, 35 anni, originaria di Lampedusa e madre di due figli, entrambi nati a Palermo, sottolinea come gli apparecchi ecografici arrivati a Lampedusa nel 2015 in occasione dell’apertura del servizio materno-infantile destinato alle straniere siano equivalenti a quelli utilizzati dai medici presso gli ospedali di Palermo. All’opposto gli apparecchi ecografici adoperati per le donne dell’isola, introdotti negli anni Ottanta e da allora non più rinnovati, sono pensati come ormai superati. Secondo le parole di Alessia, si tratterebbe di ecografi ormai vecchi, passati di moda, sui quali si può fare poco affidamento, soprattutto se comparati alle evoluzioni conosciute dalle tecnologie prenatali dagli anni Ottanta ad oggi. La scarsa affidabilità associata dalle donne di Lampedusa ai dispositivi tecnologici a propria disposizione presso i locali del Poliambulatorio spiegherebbe la scelta di spostarsi altrove, fuori dal territorio dell’isola, per effettuare delle ecografie più moderne:
Le ecografie che si fanno a Lampedusa ormai sono passate di moda. Gli schermi che ci sono da noi sono ancora quelli degli anni Ottanta. Quelli che sono arrivati a Lampedusa trent’anni fa, quelli sono rimasti. Con quel tipo di apparecchi tante cose non le puoi vedere, si tratta dei primi apparecchi ecografici, quasi “preistorici”. A Lampedusa le apparecchiature di ultima generazione ce le hanno solo le straniere. Noi [donne di Lampedusa] per avere quelle dobbiamo andare fino in Sicilia.
La diversa organizzazione degli spazi e delle attrezzature presenti al loro interno è interpretata, dunque, come un primo esem- pio del trattamento ineguale conosciuto dalle donne di Lampedusa rispetto alle donne straniere. La necessità per le donne dell’isola di andare a farsi assistere altrove mostrerebbe fino a che punto il sistema di assistenza parallelo presente sull’isola sia a vantaggio delle straniere.
Lo stesso discorso è applicato ai due gruppi di professionisti, rispettivamente incaricati dell’assistenza alle donne straniere e alla popolazione femminile dell’isola. A detta delle donne intervistate, la scelta di avere a Lampedusa due équipe mediche impegnate nel settore materno-infantile sottolinea fino a che punto le donne straniere e le donne dell’isola siano pensate come due categorie di utenti distinte e separate tra loro. Il funzionamento delle équipe mediche destinate a queste popolazioni non appare, d’altra parte, equivalente agli occhi delle donne intervistate.
La critica mossa da molte di loro si focalizza su due momenti principali: quanto accaduto prima del 2015 – anno in cui, come detto, si assiste all’introduzione presso il Poliambulatorio di Lampedusa del servizio materno-infantile dedicato alle straniere – e quel che avviene dal 2015 in poi.
Nel primo caso, le critiche mosse dalle donne intervistate riguardano il ruolo svolto dall’unico ginecologo originario di Lampedusa e residente sull’isola, quale figura progressivamente incaricata dell’assistenza ad entrambe le popolazioni di donne, locali e straniere. Angelica, 53 anni, madre di tre figli nati a Palermo, sottolinea come, tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, fosse questa figura a rappresentare il principale punto di riferimento per le donne di Lampedusa che si trovavano ad affrontare l’esperienza della gravidanza.
Le consultazioni svolte al di fuori degli orari di lavoro delle ginecologhe provenienti da Palermo, e presenti solo pochi giorni a settimana a Lampedusa, erano alcune delle occasioni in cui le donne dell’isola si rivolgevano a questo medico. In altri casi, le donne sceglievano sempre di farsi assistere in maniera privata da un loro concittadino preferendo quest’ultimo alle ginecologhe provenienti da Palermo. I rapporti di conoscenza tra le famiglie dell’isola, tra cui compare anche quella del ginecologo di Lampedusa, sembrano rappresentare un fattore incentivante della scelta di rivolgersi a questo professionista:
Il ginecologo che assisteva prima le donne a Lampedusa era soltanto uno. Il fatto che questo medico fosse proprio di Lampedusa ci faceva stare più tranquille, sapevamo che in qualsiasi momento potevamo chiamarlo e raggiungerlo. Molte donne che conosco a Lampedusa si sono fatte seguire da questo medico quando erano in gravidanza, senza prendere aerei per la Sicilia o mettere in mezzo medici forestieri [medici non originari di Lampedusa]. Farsi assistere da questo medico significava restare tra lampedusani.