Oggi 27 gennaio è il Giorno della Memoria. Il giorno che ricorda il 27 gennaio 1945, un sabato anche allora, quando l’esercito sovietico entrò ad Auschwitz in Polonia, rivelando al mondo gli orrori della Shoah. Ma c’è un’altra data che deve rimanere scolpita nella memoria, per ricordare l’infamia nazista e fascista. È il 16 ottobre 1943, un sabato, uno shabbath di festa, quando le SS con il sostegno degli appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana fanno irruzione nel Ghetto di Roma, fermano 1023 ebrei, uomini, donne, bambini, anziani, e li caricano sui treni con destinazione i forni crematori di Auschwitz. Di quei 1023 torneranno solo in 16, quindici uomini e una donna. Di questo parla il libro di Lia Levi, Insieme con la vostra famiglia, pubblicato dalle Edizioni e/o. Di quegli eventi Lia Levi è stata protagonista, scampata al rastrellamento solo per aver trovato rifugio in una chiesa cattolica. Diventata scrittrice, ha fondato la rivista Shalom, Lia Levi è una delle voci che tengono accesa la memoria della persecuzione contro gli ebrei. In questo libro Lia Levi ricorda i nomi e racconta le storie di quei 1023, facendoli rivivere in pagine dense di Storia e di storie. Ci sono poveri o ricchi, bambini, giovani, vecchi, coraggiosi o apatici, preparati o sprovveduti. Sono questi, uno per uno, a formare le migliaia di esseri umani rimasti vittime di quel “male assoluto”. Rivivono qui Giulio lo scrittore, Lucilla la malata, Ferruccio e Colomba gli innamorati, Elisa la cameriera, Corrado e Graziano gli adolescenti ribelli, Corinna la fragile. Solo loro possono in qualche modo aiutarci a entrare in sintonia con quella somma di vite che ci gridano “io sono esistito!”. Sono loro e questo libro, che ci aiutano a non dimenticare. Fabio Poletti

Lia Levi
Insieme con la vostra famiglia
16 ottobre 1943 La grande retata di Roma
2023 Edizioni e/o
pagine 144 euro 14

 

Per gentile concessione dell’autrice Lia Levi e dell’editore e/o pubblichiamo un estratto dal libro Insieme con la vostra famiglia.

Poi, in quel giorno, il rovesciamento del mondo.
Il turbinio di voci intrecciate, le grida, gli scomposti e improvvisati tentativi di fuga e, ancora, brandelli d’illusione. “Sono venuti a prendere gli uomini per il servizio di lavoro”.
Era l’idea che circolava e, per fortuna, molti giovani erano scappati in tempo.
Ma forse non stava succedendo così. “Stanno a porta’ via tutti, proprio tutti” era ormai il grido che volava da un cortile all’altro. Tra gli urli dai balconi e il pianto dei bambini aveva cominciato a farsi strada un atterrito sconvolgimento.
“Dove ci stanno portando?”. Ma, malgrado tutto, anche in quel momento siamo ancora nel vecchio mondo, quello delle primigenie regole della civiltà. Nessuno può essere in grado di capovolgere d’un colpo l’ordine del creato.
C’è una frase che mi è rimasta fissa nella mente. Sono poche parole. Risalgono ai tempi in cui, con gli altri colleghi, mi occupavo del giornale Shalom. È stata Settimia Spizzichino a raccontarcele in redazione. Sì, quella Settimia, unica donna fra i sedici sopravvissuti del 16 Ottobre 1943, diventata poi gloriosa e infaticabile testimone della Shoah.
È una famiglia numerosa la sua, sei erano i figli di mamma Grazia e papà Mosè. Quella mattina il loro nascondiglio improvvisato viene subito scoperto. Grazia, Settimia e altre due sorelle, la più grande con la figlietta in braccio, vengono immediatamente trascinate via. Ma fra panico e crescente terrore si insinua accomodante la voce della madre. “Vedrai, che ce possono mai fa’?” continua a ripetere scuotendo il braccio di una o dell’altra figlia. Ma incredibile è quello che è seguito dopo. Il dopo è quando, alla stazione Tiburtina, con i deportati già ammassati nei vagoni: “che vuoi che ce faranno? Mica c’ammazzano. Lavoreremo”. Anche lì, in quella bolgia quasi infernale, è stata la materna voce della tranquillizzazione a farsi strada nel buio.
Ti hanno invece ammazzata, Grazia Disegni sposata Spizzichino. Ti hanno ammazzata il giorno stesso del vostro arrivo ad Auschwitz, insieme a quella tra le figlie stretta alla sua bambina.
Non era ingenuità o l’inadeguatezza degli umili la voce con cui sei riuscita a strappare le tenebre.
Era il candore del Giusto.
E tutti noi, Grazia, ti siamo riconoscenti per quella tua frase che ha riconsegnato spazio e dignità al concetto di cosa dev’essere l’Uomo.

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