Raccontarsi non è facile. Bisogna mettersi a nudo. Tirare fuori il lato oscuro e metterlo su una pagina, nero su bianco, alla mercé di chiunque. È un atto di violenza alla fine. Ma di violenza ce n’è stata tanta nella vita di William Gardner Smith che firma questo mirabile Il volto di pietra pubblicato dalle Edizioni Clichy. William Gardner Smith nasce nel 1927 e cresce in un quartiere operaio nero di South Philadelphia. La sua giovinezza è costellata da brutali episodi di violenza razzista. Studente modello e lettore appassionato, avvia la sua carriera di giornalista, editore e scrittore, e nel frattempo guida manifestazioni contro la brutalità della polizia e si interessa al marxismo, il che ben presto gli attira l’attenzione dell’FBI. Sentendosi soffocato dal razzismo e dal maccartismo imperanti negli Stati Uniti, parte per Parigi dove conosce Richard Wright e Chester Himes, con cui condivide il solco del romanzo sociale di protesta. A Parigi William Gardner Smith è quasi un bianco, un giornalista, un intellettuale che ha per amici un pugno di arabi, i «negri» della Francia coloniale. Nel 1956 il governo statunitense rifiuta di rinnovare il suo passaporto. Smith continua a vivere e a lavorare in Francia, e nel 1963 pubblica Il volto di pietra. Da lì continua a scrivere, come giornalista e come romanziere, e a viaggiare tra Africa e Stati Uniti dove riesce finalmente a fare ritorno. Ma il suo cuore è in Francia, ed è in un sobborgo di Parigi che muore di cancro nel 1974. Questo libro è la sua storia ma non è un’autobiografia. È la storia di tanti come lui, colpevoli solo di avere il colore della pelle sbagliato. Philadelphia, 1960. Simeon Brown è ancora un adolescente quando perde un occhio in un’aggressione di stampo razzista da parte di un capobanda di quartiere, e da quel momento l’angosciante «volto di pietra» del suo aguzzino non cessa di perseguitarlo. Qualche anno dopo, Simeon è un giovane giornalista afroamericano in un paese all’apice della segregazione razziale, e quando un altro volto di pietra – insieme diverso e sempre uguale – lo aggredisce, non può impedirsi di reagire. Capisce allora che, se vuole sopravvivere ed evitare di fare del male a qualcuno, la sua unica possibilità è scappare lontano, dall’altra parte dell’oceano. A Parigi. La Ville Lumière dell’epoca, centro culturale dell’intellettualità decoloniale e dissidente, è un rifugio sicuro per gli artisti e gli intellettuali neri, e Simeon può finalmente fare ciò che vuole e andare dove vuole senza più avere paura. Crea un proprio circolo di espatriati, dalle amicizie con emigrati afroamericani alla storia d’amore con una ragazza ebrea sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti. Ma il dubbio si insinua: la Parigi degli anni Sessanta è davvero il paese delle meraviglie per i dannati della terra, o il volto di pietra del razzismo cammina anche lungo la Senna? Il governo francese sta tentando di reprimere brutalmente la rivoluzione anticoloniale in Algeria, e le persone arabe vengono regolarmente fermate e perquisite, picchiate e arrestate dalla polizia francese. E il peggio deve ancora venire. Grazie alla sua amicizia con Ahmed e altri radicali algerini, che Simeon sente «così simili» a lui, intuisce di dover fare una scelta, la più dura: quella tra il privilegio di essere da tutti considerato «bianco», in un paese dove i «neri» sono gli arabi, rimanendo uno spettatore passivo dell’ingiustizia dello Stato francese, e la necessità di lottare contro l’oppressione, chiunque colpisca. Fabio Poletti

William Gardner Smith
Il volto di Pietra
traduzione di Giada Diana
2024 Edizioni Clichy
pagine 248 euro 21

Per gentile concessione delle Edizioni Clichy pubblichiamo un estratto dal libro Il volto di pietra

C’era un gruppo di marinai bianchi a un tavolino nel bar. Guardavano Simeon e Charlotte e bisbigliavano tra loro. Non avevano sguardi amichevoli. «Certo» disse Simeon, «anche se io per primo non ho fatto molto lavoro giornalistico. La cosa importante con le riviste è scrivere aneddoti. Riempi i tuoi articoli di aneddoti, nient’altro che aneddoti». Due marinai si alzarono e si spostarono in direzione della porta alle spalle di Simeon. «Sì, aneddoti» disse Charlotte. «Un articolo di giornale è come un filo di perline. Ogni perlina è un aneddoto e il filo l’idea che li collega». Mentre passavano, uno dei marinai si voltò improvvisamente e colpì Simeon sulla mascella con tutta la sua forza. Charlotte urlò. Gli altri marinai si precipitarono in avanti, imprecando e colpendo Simeon. La rabbia mista al dolore gli infiammò la testa, e quando guardò il marinaio più vicino, l’allucinazione tornò: era il volto di pietra! Era Chris-Mike. Con un balzo si liberò dei marinai ed estrasse la pistola che ormai portava sempre con sé. Guardò gli uomini, i loro volti improvvisa- mente spaventati, sorrise e premette il grilletto.
La pistola si inceppò. I marinai, il barista, e tutti gli avventori lo guardarono trasecolati. «Andiamocene via di qui» sussurrò Charlotte. Corse alla porta mentre Simeon, con la pistola puntata sui marinai, indietreggiò rapidamente fino a uscire dal bar.
In strada corse come mai prima. Saltò su un autobus in corsa. Riusciva a malapena a respirare. Era così debole che quasi svenne e, mentre pagava, la sua mano tremò violentemente. Il conducente lo guardò con curiosità, e Simeon scese dall’autobus prima della sua fermata. Percorse una stradina buia, prese la pistola dalla tasca, la pulì attentamente con un fazzoletto e la gettò in una fogna. Rimase in strada un momento, tremando. Ho quasi commesso un omicidio.
Quella notte a letto si impose di rimanere calmo. Ma il volto – di Mike, di Chris, del marinaio – non lasciava mai i suoi pensieri. «Stai andando fuori di testa» si disse. Un omicidio in un bar, poi la sedia elettrica, che modo ridicolo di mettere fine alla vita! Morire per una causa, quello sarebbe stato diverso. Ma in una rissa da bar!
Con lentezza e lucidità si disse: un giorno ucciderò qualcuno. In un momento di rabbia, umiliazione, in un istante di illusione, di allucinazione. No! Non un simile spreco, non uccidersi per mezzo delle proprie azioni irrazionali!
Sarebbe andato via, avrebbe lasciato l’America. Andato dove? Ovunque. In Europa, per esempio. In Francia.
Simeon dormiva a intermittenza, conscio dei suoni delle strade parigine. Alle quattro del pomeriggio si alzò e andò in un bar. Ordinò una birra, poi un’altra. Non aveva fame, e iniziò a vagare senza meta lungo il boulevard St. Germain. Stava passando vicino alla stazione della metropolitana Odéon quando sentì una voce urlare, in un inglese dal forte accento: «Ehi! Come ci si sente a essere bianchi?».
Per qualche motivo, Simeon sapeva che quelle parole erano dirette a lui e, voltandosi, vide quattro algerini seduti a un tavolino dell’Odéon Café. Si avvicinò, confuso e mortificato.
«Siediti» disse uno degli algerini, studiandolo con un sorriso amaro e beffardo. Altri due lo fissarono con aperta ostilità mentre il quarto, che sembrava più giovane degli altri, lo guardò con curiosità, persino benevolenza. «Che bevi?»
«Caffè» rispose Simeon.
L’uomo che aveva parlato in inglese ordinò il caffè, poi si girò verso Simeon. «Allora? Come ci si sente?».
Simeon si strinse tra le spalle. «Non me ne ero reso conto».
L’uomo si sporse verso Simeon e disse con rabbia: «Non te ne eri reso conto! Senti, ero nel movimento della Francia Libera durante la guerra. Ho ricevuto un’onorificenza. Per un po’ sono stato nella Marina e sono andato negli States. Di dove sei?»
«Philadelphia».
«Sì, ci sono stato a Philadelphia. Anche a Baltimora. A New York. Ci sono andato con Francia Libera, credevo alle cose che dicevano durante la guerra, sai; che dopo il mondo sarebbe stato diverso, che era una guerra per la democrazia, che stavamo tutti lottando per la democrazia e la libertà. Paroloni. Stupido, eh? Belli, gli States. Ho visto come trattavano quelli come te, i neri. Sono andato nei quartieri dove vivono i neri, ho avuto degli amici neri. Li trattavano proprio bene i neri, eh? Qual è la parola che usavano? Negri. Vi chiamano così, vero? Negri! Sì, ho visto. E indovina un po’ – negli States consideravano me e quelli come me bianchi. Ma non mi sono lasciato ingannare, sono andato lo stesso nei quartieri neri».
Ridacchiò, poi proseguì. «Allora, come ti senti adesso? Ti senti bene, eh? Qui in Francia, il paese dei liberi. Lontano da tutte quelle faccende degli States, eh? Puoi andare ovunque, fare qualsiasi cosa. È fantastico. Ricordo com’era laggiù. Se un bianco faceva a botte con un nero, il nero era colpevole e il bianco innocente. Proprio così. Me lo ricordo. Come ci si sente a ruoli invertiti, eh? Come ci si sente a essere i bianchi, per una volta?».
Simeon scosse la testa, desiderando alzarsi e andare via, ma l’algerino era inarrestabile: «Siamo noi i negri, qui! Sai come ci chiamano i francesi? Bicot, melon, raton, nor’af. Significano negro in francese. Non temi che possiamo derubarti? Non sei inorridito dai nostri vestiti non stirati, dall’odore dei nostri corpi? No, ma sul serio… voglio farti una domanda seria. Permetteresti a tua figlia di sposare uno di noi?».

«The Stone Face» by William Gardner Smith
© 1963, William Gardner Smith
© 2024 Edizioni Clichy – Firenze