Divisi dall’Europa con cui non hanno condiviso nemmeno la moneta, dopo la Brexit. Divisi dalle spinte nazionaliste sempre più forti, di chi sogna una Scozia e un Galles indipendenti con un proprio parlamento, leggi e lingua. Cose che già ci sono, ma ad autonomia controllata. Per non parlare della mai risolta questione irlandese dove, anche se tacciono le armi, i discorsi continuano ad essere infiammati. E poi sempre più divisi sulla percezione del ruolo e della utilità della Corona, forse ai minimi storici di credibilità con un re pieno di acciacchi, schiacciato dalla presenza assai ingombrante di sua madre, scomparsa da pochi anni ma ancora assai presente nell’immaginario britannico. Il Regno Unito di Carlo III che segue quello di maman la regina Elisabetta II, una delle sovrane più longeve della Storia, è tutt’altro che unito e mostra crescenti livelli di fragilità come ci racconta la giornalista Tiziana Prezzo, in questo Il regno fragile pubblicato dall’editore People. Tiziana Prezzo, milanese, giornalista, dal 2020 è corrispondente da Londra per Sky Tg24. Come inviata è stata in teatri di crisi e in zone di guerra, ha raccontato il terremoto ad Haiti, il tentativo di colpo di Stato in Turchia, gli attacchi islamisti in Europa e le tensioni politico-sociali che hanno attraversato il Vecchio continente nell’ultimo decennio. Ha vinto i premi internazionali intitolati a Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli. La narrazione del libro ha molteplici punti fermi. Uno è sicuramente il 4 luglio 2024, quando il Partito Laburista vince le elezioni, mettendo fine a 14 anni di governi conservatori. Un vero terremoto politico, a distanza di due anni da un altro profondo stravolgimento per il Regno Unito: la morte della regina Elisabetta II. Intorno alla scomparsa della sovrana più longeva d’Inghilterra hanno luogo, in soli 50 giorni, diversi fatti fuori dall’ordinario, che lasceranno un segno e permetteranno a Keir Starmer di diventare inquilino di Downing Street. Il clima d’incertezza alimenta le spinte separatiste, esasperate dalla Brexit. Contro queste resta ancora, come baluardo di stabilità, la Corona, ma re Carlo III deve fare i conti con una crescente disaffezione verso l’istituzione che rappresenta e con la malattia. Tiziana Prezzo racconta questi passaggi delicati attraverso un vasto lavoro d’indagine e raccolta di storie sul campo, tratteggiando l’atmosfera malinconica di una monarchia e di un Paese – casa per circa mezzo milione di italiani – che s’interroga ora più che mai sulla propria identità e sul proprio ruolo nel mondo. Fabio Poletti

Tiziana Prezzo
Il regno fragile
Le difficoltà della Corona, gli effetti della Brexit, la svolta laburista
2024 People
pagine 320 euro 18

Per gentile concessione dell’autrice Tiziana Prezzo e dell’editore People pubblichiamo un estratto dal libro Il regno fragile

Il futuro della Scozia deve essere nelle mani della Scozia.
Nicola Sturgeon, ex prima ministra scozzese

Seguo Tom, ricco proprietario terriero dal sangue blu, mentre avanza nella brughiera. Barbour d’ordinanza, stivali, coppola: ha esattamente gli indumenti che ti aspetti in questo tipo di contesto e che la stessa regina Elisabetta II ha contribuito a rendere immediatamente riconoscibili. Quante volte l’ho vista vestita così, mentre si trovava a Balmoral? La sola differenza tra i due è che lei sulla testa indossava un foulard. Anche quando andava a cavallo o nelle sue tenute guidava (senza patente) uno dei suoi tanti Land Rover Defender. Mi guardo intorno e la vista si perde nel verde, che ha da poco riconquistato terreno rispetto al marrone dell’inverno e tocca ora con determinazione il blu del cielo. Non un’anima attorno a noi: una pace piace- volissima. Il panorama è ancora dolcemente ondulato, qui, al confine tra Inghilterra e Scozia, ritmato da muretti a secco che si perdono a vista d’occhio. Qui, dove anche gli antichi romani furono costretti a fermarsi. Tom è per metà scozzese e per metà inglese, esattamente come i suoi possedimenti. «Il mio dentista è in Scozia, il mio medico in Inghilterra» dice ridendo. È la primavera del 2021 e mi trovo a girare la nazione alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento locale. Da qualche mese la Brexit è diventata a tutti gli effetti realtà, e il malumore oltre il vallo di Adriano non fa che crescere. Ma Tom, di indipendenza – cavallo di battaglia dello Scottish National Party (SNP), maggioranza nel Parlamento locale – non vuole sentir parlare. «La Brexit ci ha complicato enormemente la vita, non oso pensare a cosa succederebbe se uscissimo anche dal Regno Unito. Quante risorse verrebbero impiegate per mettere a punto la separazione tra le due nazioni, considerando quanto siamo interconnessi?» Guardo il mio taccuino degli appunti e quel dato annotato e sottolineato a più riprese: 11 miliardi di sterline l’anno. Secondo un calcolo fatto dalla London School of Economics e dalla City University di Hong Kong, di tanto si restringerebbe l’economia scozzese qualora questa nazione decidesse di andare per conto proprio. Un danno, secondo i due atenei, due o tre volte superiore a quello causato dalla Brexit. E d’altronde: il 61 per cento delle esportazioni è destinato al mercato comune del Regno Unito, dal quale proviene anche il 67 per cento delle importazioni. È un import/export quattro volte superiore a quello con l’Unione Europea. Senza dimenti- care un altro aspetto fondamentale legato alla difesa. Dagli anni Sessanta i sottomarini nucleari del Regno Unito si trovano nella base della Royal Navy di Faslane, a circa quaranta chilometri da Glasgow. Il sistema di deterrenza, conosciuto col nome di Trident, comprende quattro sottomarini a propulsione nucleare della classe Vanguard – che possono rimanere sommersi per mesi –, missili e testate. Queste ultime sono conservate nel vicino deposito di armamenti di Coulport, a settanta chilometri da Glasgow, tra le insenature del Loch Long. Dall’aprile del 1969, almeno un sottomarino della Royal Navy pattuglia il mare con armi nucleari. Che cosa accadrebbe a questo arsenale nel caso in cui la Scozia si rendesse indipendente? Dove, in che tempi e modi verrebbe trasferito?
Guardo la bandiera di Sant’Andrea sventolare orgogliosa, piantata nella roccia di un muretto a secco, e mi stringo nel giaccone: è ormai maggio, ma qui continua a fare freddo. Sprazzi di sole lasciano spazio a piogge violente, gelide e improvvise: almeno una volta, da queste parti, ho iniziato una breve diretta – quattro minuti in tutto – con il sole e l’ho conclusa, fradicia, sotto l’acqua battente, colta completamente di sorpresa. Per chi non è nato qui ci vuole tanto amore (o tanta resilienza) per farsi andar bene un tempo così. «Fàilte gu Alba», ‘Benvenuti in Scozia’, recita una scritta in gaelico accanto alla bandiera. Qualora la nazione diventasse indipendente, qui dovrebbe sorgere un confine vero e proprio. «Abbiamo visto che problemi ha creato quello fittizio nel mare d’Irlanda tra Ulster e Gran Bretagna» ricorda ancora Tom, e con questo ammonimento mi saluta mettendo fine alla nostra passeggiata.
Anni dopo questo mio incontro, il tema dell’hard border tra Scozia e Inghilterra è ancora uno dei nodi rispetto ai quali i nazionalisti scozzesi una risposta convincente non sembrano in grado di darla. E con ogni probabilità, come accaduto anche per l’Irlanda, una soluzione che vada bene per tutti sarebbe comunque difficile da trovare.

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