Dopo, sarebbe arrivato Shaft il detective, il talentuoso investigatore privato interpretato al cinema da Richard Roundtree nell’omonimo film del 1971. Un antieroe inviso dalla mala di Harlem per essere quasi un poliziotto e pure dalla polizia per essere nero. Prima, molto prima, c’era Ezekiel Easy Rawlins, detective afroamericano buono a consumare le scarpe sui marciapiedi di Manhattan, cercando di raddrizzare il mondo. L’ultimo caso, Charcoal Joe, uscito da poco da Bompiani, il 14 esimo nato dalla prolifica penna di Walter Mosley, uno dei più importanti scrittori black degli Stati Uniti, lo vede nel tentativo di tirare fuori dai guai un ragazzo afroamericano ingiustamente accusato della morte di due bianchi. Gli Anni Sessanta stanno finendo, le discriminazioni razziali dovrebbero essere già relegate nei libri di Storia, ma l’America ci riserva sempre grandi sorprese. Intinto nella penna dell’hard boiled americano, senza sfigurare davanti ai grandi noir scritti da Raymond Chandler e Mick Spillane, Walter Monsley ha una marcia in più. Quella che ci racconta gli States dei «coloured» relegati ai margini. Un romanzo che potrebbe diventare benissimo un film, come Il diavolo blu, il primo romanzo della serie portato sullo schermo da Denzel Washington nei panni di Ezekiel Easy Rawlins. Fabio Poletti
Walter Mosley
Charchoal Joe
Un’indagine di Easy Rawlins
traduzione di Fabrizio Coppola
2020 Bompiani
pagine 416 euro 18
Per gentile concessione dell’autore Walter Mosley e dell’editore Bompiani pubblichiamo un estratto del libro Charchoal Joe.
Così alle 7:42 del primo lunedì del maggio 1968, mi trovavo di fronte alla facciata a stucco dell’edificio, tinteggiata in un colore vivace: ero un investigatore privato con un futuro radioso davanti a sé e un passato oscuro alle spalle.
Dieci mesi prima avevo realizzato un guadagno inatteso quanto discutibile grazie a un riscatto di centomila dollari che nessuno aveva reclamato. Così avevo usato parte di quel denaro per avviare la mia agenzia investigativa con due dei migliori detective che conoscessi – Saul Lynx e Tinsford “Whisper” Natly. Saul era un ebreo sposato con una nera che gli aveva dato due figli. Nato e cresciuto a L.A., era accettato, più o meno, nelle cerchie dei bianchi. Whisper era un negro di St. Louis in grado di scovare chiunque, in qualunque luogo, se provvisto dei mezzi e del tempo necessari.
Saul, Whisper e io eravamo soci alla pari: loro avrebbero uguagliato il mio investimento iniziale versando trecento dollari al mese ciascuno.
Inspirai a fondo con il naso e sorrisi, pensando che pur essendo un povero nero del profondo Sud, non solo ero stato abbastanza fortunato da non essere già morto e sepolto, ma oltre a essere ancora vivo e vegeto facevo addirittura l’imprenditore.
La nostra agenzia aveva un piccolo ingresso indipendente su una tromba di scale che serviva solo il nostro ufficio. Salii i gradini due alla volta finché non raggiunsi il ballatoio del secondo piano. Mi fermai, felice per il fatto di non essere ancora morto e perché – se il cielo non fosse caduto proprio quel giorno – presto sarei stato il promesso sposo dell’adorabile Bonnie Shay.
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