Kaha Mohamed Aden
Dalmar
La disfavola degli elefanti
2020 Edizioni Unicopli
pagine 203 euro 16
Il richiamo più immediato è a Esopo. Alla favola usata come metafora per raccontare, con immagini, sensazioni e talvolta una morale, gli accadimenti del mondo. La scrittrice somala naturalizzata italiana Kaha Mohamed Aden, della favola coglie ogni aspetto. La storia è semplice: un gruppo di elefanti abbandona un’isola diventata ostile per la guerra e approda in un’altra isola, governata da api ed orsi, di cui dovranno superare la diffidenza. Ma questa è anche la storia personale della scrittrice nata a Mogadiscio, che a vent’anni lascia la Somalia per approdare in Italia dove si laurea in Economia, occupandosi poi di mediazione culturale. La scrittura e il teatro sono la sua grande passione.
L’isola che lasciano gli elefanti è la sua Somalia dilaniata dalla guerra civile. Gli elefanti, scelti non a caso, sono i portatori di formidabile memoria, davanti a chi quella guerra l’ha già dimenticata. L’isola punto di approdo è il luogo simbolico per eccellenza. Ma questa è anche una storia di migrazione. Con tutte le complessità che comporta. Con orsi ed api che si trovano per la prima volta faccia a faccia con i pachidermici invasori. Una favola alla fine così reale da diventare una disfavola. Fabio Poletti
Per gentile concessione dell’autrice Kaha Mohamed Aden e dell’editore Edizioni Unicopli pubblichiamo un estratto del libro Dalmar La disfavola degli elefanti.
PARTENZA
Zillano le cavallette, friniscono le cicale, migliaia di gechi appesi a penzoloni da tutte le parti con schiocchi ritmano l’annuncio della partenza degli elefanti.
Gli animali presenti, chi a sinistra, chi a destra, per fare strada agli elefanti che partono, si spostano di fretta e in silenzio.
Dritto in fondo, su un mare piatto, li aspettano alcune zattere gigantesche.
Signori e signore, gli elefanti partono e nessuno di loro è felice di andare via.
Idman, per assicurarsi che partire è una scelta opportuna, ha fondato il comitato delle sagge.
Per non decidere da sola per tutti, ha convocato un’assemblea generale.
Per verificare se ciascuno ha preso la decisione a ragion veduta si è, per la prima volta, consultata con ogni individuo del branco che voleva partire. Bisogna proprio dire che la comandante Idman si è sbizzarrita a costituire tutte le modalità possibili per coinvolgere tutti nella decisione della partenza. Nonostante quasi tutti quelli del suo gruppo abbiano convenuto di partire, in molti mostrano dei musi lunghi, ma lunghi, lunghissimi, che sembra quasi che il fatto di partire sia colpa di Idman. Come se Idman li abbia forzati a scegliere di partire. E a Idman questo dà noia.
Tutto è pronto per la partenza. Manca solo di salire sulle zattere.
Non c’è traccia del cucciolo Dalmar e di sua madre. Qualche ora fa si stavano preparando alla festa d’addio, ma non sono venuti. Chi sa che fine hanno fatto? Si chiede Idman scocciata quando li vede arrivare di corsa.
– Sempre in ritardo. Che fine avete fatto?
– Dalmar mi ha raccontato il nuovo allestimento della bella biblioteca di nostro padre. È piena zeppa di libri razzisti.
– Non gli avrai dato fuoco, spero?
– No, perché mai? Povere piante. Inizialmente quei libri avevo voglia di tagliarli a pezzettini, Dalmar me l’ha proibito. Abbiamo solo cercato di disincentivare la lettura da parte dei più giovani. Li abbiamo raccolti dalle piante e semplicemente ammucchiati per terra. Abbiamo poi pensato di coprirli con qualche cosa e di scriverci sopra “reparto razzista”. Ma non avevamo il tempo. E voi ve la siete spassata?
– Non era un party. Era la cerimonia di congedo. Un incontro per dirsi addio. Saluta!
– Chi? Domanda Bilan.
– Nostro padre. Non lo vedi?
– Ciao papà, dice prima Idman e poi Bilan, entrambe con un sorriso stampato sulla faccia mentre il loro padre si trova fuori dalla fila di quelli che partono.
– Che fa, non parte con noi? Chiede Bilan Narges a Idman.
– No, gli anziani rimangono giù.
– Avresti mai pensato di avere un padre razzista? — chiede Bilan e intanto si sposta verso le zattere saltando la fila, mettendosi davanti a più di un elefante.
– Dove vai con il sacco? — domanda Idman, e poi ordina: – Tu e Dalmar mettetevi in fila qui in fondo.
– Nel sacco ci sono le mie cose. — risponde Bilan tornando sui suoi passi in fondo alla fila.
– Quali tue cose?
– L’incenso, il te, l’henné per le unghie, cose così.
– Le lasci giù?
– Capisco. Ma, mi chiedo: le mie cose non si potrebbero infilare sulle zattere dove noi elefanti non saliamo? – In quelle zattere c’è posto soltanto per i distillatori d’acqua marina, per le scorte di cibo, per l’acqua, per gli attrezzi, i giubbotti di salvataggio. Cara Bilan detta Narciso, nel tuo sacco c’è qualcosa che assomiglia al kit di sopravvivenza per i naufraghi? — chiede con un tono stanco Idman a sua sorella.
– Ma Idman cara, inutile che fai la scocciata, anche tu ti stai portando a bordo un sacchetto, perché io no?
– Vuoi sapere cosa porto nel mio sacco? Guarda! C’era una guida di tecniche di sopravvivenza in oceano, una bussola e la famosa mappa di Ibn Majid, il Leone del mare.
– Uhhh, l’antica mappa! Che bella. A proposito del Leone del mare, ti sta bene il Kajal. Com’è andata con Doctor Doolli? So che oggi vi siete visti. — dice Bilan detta Narges ridendo.
Ride anche Idman e dice: – Stupida. Sbrigati, lascia il sacco giù e sali.
Si parteee… anzi, gli elefanti son partiti.
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