Quando è arrivato in Italia dal Kurdistan siriano, 16 anni fa, è rimasto subito incastrato negli ingranaggi della catena di montaggio di una fabbrica del lodigiano. Ci è voluto qualche anno prima che Ashti Abdo riuscisse a dedicarsi totalmente alla musica, accompagnato dal suo amato tembûr, uno strumento diffuso nell’area mediorientale e che «in Kurdistan si impara dal barbiere». Ora Abdo lo suona in giro per l’Europa, diffondendo le melodie delle terre dell’Est insieme al trio Abdo Buda Marconi, con cui sta realizzando il secondo album. E intanto studia da mediatore culturale perché, dice, le storie delle persone arricchiscono la sua vita.
La strada da Aleppo a Lodi di Ashti Abdo
Nato ad Aleppo, in Siria, e cresciuto ad Afrin, nel Kurdistan siriano, Ashti Abdo aveva 23 anni al suo ingresso in Italia. «Dal giorno dopo il mio arrivo, ho lavorato in una fabbrica in cui si confezionavano le riviste della Mondadori, vicino Lodi. È stato massacrante, i primi giorni lavoravo 18 ore. Avevo raggiunto mio padre che era arrivato in Italia circa cinque anni prima e faceva lo stesso lavoro». Abdo entra a gamba tesa nella questione curda raccontandoci che, come il padre, è andato via dal proprio Paese per problemi familiari ma anche per il mancato riconoscimento dell’etnia curda. Ha lavorato in quella fabbrica di Lodi per tre anni, poi non ce l’ha fatta più e ha deciso di mollare.
Si parte da tanti Paesi del mondo pensando che in Italia sarà diverso, sarà meglio. Ma scappi da una realtà di conflitto e ne trovi una di ingiustizia
I primi sei mesi in Italia li ha passati a piangere come un bambino, confessa a NRW. A 54 anni suo padre è andato in cassa integrazione e visto che non riusciva a trovare un altro lavoro ha lasciato l’Italia. Ora si trova in Danimarca, insieme alla sorella di Ashti, scappata dalla guerra in Siria nel 2011.
In Kurdistan la musica si impara dal barbiere
Quando era in Siria, Abdo ha sentito costantemente il peso delle ostilità contro il popolo curdo. Ma la musica ha reso la vita più sopportabile, nonostante il padre l’avesse scoraggiato a fare l’artista. «Da piccolo ho sempre strimpellato ma più che altro cantavo, andando dietro a mio fratello maggiore che era un vero musicista. Invece mio padre voleva farci studiare. Lui, che era scultore, guardava l’arte come qualcosa da evitare perché sapeva che non ci avrebbe dato da mangiare». Come suo fratello, Ashti Abdo ha imparato a suonare il tembûr, lo strumento che in Kurdistan si impara dal barbiere.
Funziona come in Calabria, dove tutti i barbieri hanno un mandolino appeso al muro. Mio fratello ha iniziato così, suonando in giro per negozi mentre ci si tagliava i capelli
Il tembûr è una specie di liuto, simile al bouzouki greco con il manico più lungo. «Si dice sia turco» ci tiene a precisare Ashti Abdo, «ma come altri strumenti che poi si sono sparsi per il Medio Oriente, le sue radici sono curde». Qualche anno dopo, però, la volontà della famiglia ha preso il sopravvento e il fratello di Abdo è finito in Armenia a studiare. «È stato in quel momento che ho iniziato a suonare seriamente, quando non ho più potuto appoggiarmi a lui».
Dalla fabbrica ai concerti di Ashti Abdo nei teatri
La scelta di ribellarsi al sistema corrotto del lavoro in fabbrica ha causato parecchi problemi ad Ashti Abdo, ma per fortuna gli ha anche fatto incontrare persone che si sono schierate dalla sua parte e l’hanno aiutato. «La mia insegnante di italiano al corso organizzato dal Comune mi ha trovato il contatto per un concerto in un teatro. La cosa era vista male in fabbrica perché rubava tempo al lavoro, secondo loro». Da quei primi ingaggi le occasioni sonno arrivate una dietro l’altra, e nel 2012 Abdo ha iniziato a collaborare con i Domo Emigrantes, un progetto di musica popolare del sud Italia e del Mediterraneo. «È stato un bellissimo scambio durato fino al 2018, durante il quale ho scoperto nuove sonorità e strumenti come lo scacciapensieri».
Nel 2014, poi, è arrivata anche la Piccola banda rebelde, una carovana di dieci elementi con cui si è divertito a riscoprire la musica di Fabrizio De André. E ora Ashti Abdo si divide tra la carriera da solista e il progetto con Buda e Marconi, iniziato nel 2016, e arrivato in fase di lavorazione del secondo album di brani originali, dopo Karsilama del 2019. La loro musica è un viaggio attraverso le sonorità dei Paesi dell’est, dai Balcani al Caucaso. «Di base siamo tre strumenti a corda. In più, io suono anche le percussioni e il duduk, un bellissimo strumento armeno a fiato simile all’oboe» ci spiega citando la colonna sonora del film Il gladiatore, suonata dal compositore armeno J̌ivan Gasparyan.
La musica serve a sensibilizzare
Non possiamo non parlare della guerra in Ucraina, a questo punto punto, una situazione che lo tocca profondamente, dice il musicista curdo con fermezza.
Ovviamente io sono contro la guerra ma mi chiedo: un bambino di qualsiasi nazionalità che si trova bloccato al confine russo o lituano da mesi, cosa penserà dei bambini ucraini che sono già stati accolti in Italia?
È solo uno spunto di riflessione, precisa Abdo, «perché bisogna sempre fermarsi e ragionare, senza fare le vittime a priori».
Parlando del valore della musica, Ashti Abdo non ha dubbi sulle sue capacità di connettere le persone e consapevolizzare l’opinione pubblica. «Mi capita di partecipare a serate di raccolta fondi o eventi di sensibilizzazione per tematiche delicate. Ho scritto un brano sulla guerra in Siria ma è un pezzo che in realtà parla di tutte le guerre. Si chiama Beja, che vuol dire “racconta”, in questo caso racconta la guerra attraverso la musica. E visto che io non sono molto bravo con le parole, mi esprimo meglio con le note, è il modo in cui riesco a trasmettere la bellezza e la fatica della mia vita».