Lo scorso 28 febbraio il rapper italovietnamita Mike Lennon ha postato sul suo profilo Instagram un breve video fai da te dal titolo Stop Lazzismo (dove la L sta per la R, secondo uno dei più diffusi stereotipi sugli asiatici in Occidente), in cui canta «Mi gualdan pelché sono asiatico». Poi ancora, il 12 marzo Mike ha pubblicato un altro video che lo mostra aggirarsi in pigiama per una camera da letto: protagonista del pezzo è una parola chiave di questi tempi, Amuchina: «Mi bussa la vicina con in faccia maschelina pelché vuole amuchina».
In un paio di settimane si è passati dalle consuete manifestazioni di razzismo verso gli stranieri alla vicina di casa che si presenta alla porta per chiedere l’amuchina come fosse lo zucchero. Cos’è successo? Dov’è finita la paura dell’asiatico?
Il virus, in musica
Negli ultimi mesi, l’attenzione dei media si è progressivamente spostata in blocco sul tema Coronavirus e tutto il resto ne è rimasto fuori, compresa la fobia per la minaccia costituita dall’immigrato che sbarca nel nostro Paese. Ora che si è entrati in un clima di sopravvivenza, il male da combattere è comune.
Sembrano andare in questa direzione gli artisti della scena musicale italiana di seconda generazione che hanno deciso di dire la loro su quello che sta accadendo. Come Laioung, rapper nato a Bruxelles da madre di origine sierraleonese e padre italiano, cresciuto a Ostuni, salutista e ambientalista, che ha collaborato con Gué Pequeno e inizia a farsi un nome anche all’estero. Ha lanciato sui social la canzone Dov’è la Vittoria, campionando l’Inno di Mameli. «Il nemico si chiama corona… Tutti si fanno la stessa domanda, dov’è la vittoria?».
Il 27 marzo è uscito il singolo Wannabe, frutto di un’altra collaborazione attuale più che mai, in cui Laioung compare in featuring con la cantante Dolcenera. La canzone parte dalla denuncia di un mondo superficiale comandato dall’apparenza ma affronta anche il tema della paura che stiamo vivendo in questo periodo, vista come sano istinto di sopravvivenza che sprona alla consapevolezza e a un atteggiamento positivo. In pratica, «Per fare del bene ci vuole il male» sintetizza un verso del pezzo.
Restando sul fronte del rap, si è espresso sul Coronavirus anche il bresciano di origini nigeriane Tommy Kuti, personaggio iper seguito sui social e autore di una brillante autobiografia che racconta uno spaccato dell’Italia degli ultimi 30 anni. Kuti ha aderito al Covid Freestyle Challenge lanciato da Emis Killa su Instagram, una sfida canora che ha coinvolto una nutrita schiera di artisti come Fabri Fibra, Myss Keta e Salmo. «Ricco o povero / stai nella morsa / è un film quello che oggi si vive / il Ghana che ha chiuso i confini all’Italia», rappa nel video che ha postato sul suo profilo Facebook.
Riflessioni social
Ma c’è anche chi ha dichiarato di fare un passo indietro rispetto all’esposizione mediatica dando una personale lettura della situazione. Rancore, padre croato e madre egiziana, attivo nel panorama hip hop romano e reso noto al grande pubblico da una collaborazione sanremese con Daniele Silvestri, non ha voluto prendere parte alla Covid Freestyle Challenge e, affidandosi a un lungo post su Facebook (solo per questioni di spazio, sottolinea lui, avendo gli altri canali un limite di caratteri), ha spiegato i motivi della sua decisione. «Non farò il mio freestyle sul virus e chiedo scusa a chi mi ha messo in mezzo a questo gioco perché in verità sono stato onorato dell’invito. Vorrei metabolizzare quello che sta accadendo con i giusti tempi e scrivere qualcosa che apra a riflessioni meno istintive. Non ho mai nascosto la mia convinzione che in questo periodo storico stiamo vivendo una guerra silenziosa e subdola, che ai miei occhi sembra principalmente una guerra psicologica. Non so quando è iniziata e non so quando finirà… Spero che in questi giorni il buon senso delle persone crei collaborazione tra di noi nel riuscire a restare uniti e nel risolvere tutti insieme il problema».
Foto di apertura: Dolcenera, Laïoung – Wannabe / YouTube