Yvette Yanzege ha 41 anni e viene dalla Repubblica Democratica del Congo. È tra i 57 Cavaliere al Merito della Repubblica nominati da Mattarella lo scorso giugno. Lei e Marco Buono sono stati gli unici due volontari della Croce Rossa Riccione a rispondere all’appello della Lombardia che chiedeva aiuto.
Dal Senegal al Quirinale
Yvette Yanzege è arrivata in Italia nel 2011, e da 9 anni vive a Rimini. Nel 2010 a Dakar, in Senegal, ha conosciuto il suo futuro marito (italiano). Hanno deciso di sposarsi e un anno dopo lei l’ha raggiunto in Italia. Dopo cinque anni di matrimonio ha ottenuto la cittadinanza. Nel frattempo due figli, le difficoltà lavorative e la necessità di reinventarsi. «In Congo ho lavorato come infermiera fino al 2003. Ho smesso per questioni economiche: lo stipendio era di 200 dollari, lavorando in albergo e in una società di guardie giurate prendevo il doppio». In Italia ha tentato di riprende la strada interrotta, cercando lavoro come infermiera. Come spesso accade, per questioni legate all’inconvertibilità dei titoli universitari, il progetto è stato stroncato in partenza:
In Italia non ho potuto fare l’infermiera. Avrei dovuto riscrivermi all’università perché il mio diploma non era riconosciuto. Per ricominciare da capo servono soldi e tempo. Io non ne avevo
Dalla Croce Rossa di Kinshasa a quella di Riccione
Davanti alla strada chiusa per realizzare le sue ambizioni, ha lavorato in albergo, a Miramare, ma i turni massacranti da lavapiatti non erano compatibili con i suoi impegni da madre. Nell’attesa di trovare una sistemazione migliore, per indole e necessità non è rimasta con le mani in mano: «Ero sempre a casa e mi sono messa alla ricerca di attività di volontariato in rete». Nonostante un primo periodo di mancate risposte, la ricerca è continuata, e ha dato i suoi frutti: «La Croce Rossa di Rimini non aveva corsi attivi, e mi hanno rimandato a Riccione. Sono andata, ed è iniziato tutto».
Non un’esperienza inedita questa, per Yvette Yanzege, che con l’impegno nel sociale ha un conto aperto da tempo. Dal 2003 è operatrice della Croce Rossa di Kinshasa (Congo), e anche dall’Italia ha continuato a prendersi cura della sua terra di origine. «Tre anni fa ho fondato la mia associazione in Congo, Les Amies de Céline. Aiutiamo bambini e ed anziani per fare arrivare un po’ di cibo. Ai primi cerchiamo di garantire l’istruzione provvedendo alle spese di iscrizione scolastica, per i secondi abbiamo fatto un orto».
Dalla Croce Rossa di Kinshasa a quella di Riccione, fino alla discesa in campo nella bocca di fuoco del Covid, all’apice del lockdown: «Dovevo aiutare. A Bergamo avevano bisogno di medici e di infermieri. Mi sono detta: io non sto facendo niente e sto bene, almeno devo andare ad aiutare».
Ne ha parlato con il marito, e non sono mancate le tensioni.
Mi ha chiesto di non andare. Mi ha detto: Morire senza un lavoro, senza uno stipendio, senza lasciare niente ai tuoi figli è una cagata!
Sul fronte lombardo
Dopo quattro giorni dall’appello lombardo, l’unico a rispondere era stato Marco Buono. Nel frattempo il marito aveva lasciato casa (i camionisti non si sono mai fermati) e lei ha deciso di partire: alla famiglia ha detto che sarebbe andata alla sede di Riccione ad aiutare, in realtà salutava la Riviera, destinazione Bergamo. Dieci giorni di servizio al fronte, trasportando anziani e meno anziani dalle loro case agli ospedali sovraffollati della città lombarda:
Sono stati dieci giorni che mi rimarranno impressi nella memoria per tutta la vita. I volti delle persone che non sapevano se sarebbero tornati a casa. Percepire la paura di morire è molto difficile
Ma anche nella drammaticità del momento, non ci sono solo ricordi bui: «Le immagini che non scorderò mai non sono tutte tristi. Ho conosciuto persone fantastiche. Gli anziani che mi regalavano i biscotti. Persone che, vista la nostra provenienza, ci dimostravano una sincera gratitudine». Un rapporto nato per necessità che potrebbe risaldarsi nel tempo: «Tornerei volentieri a Bergamo. Un giorno, non so ancora quando, voglio tornare e salutare tutti».
Dopo 10 giorni il rientro a casa e la quarantena. Nessuno sapeva nulla di preciso, fino alla pubblicazione di una sua foto su un giornale locale. Il marito di Yvette ha scoperto così della coraggiosa fuga della moglie. «Mi ha mostrato la foto da lontano, mentre io sbirciavo dalla mia stanza isolata. Gli ho detto che ero solo andata a Bergamo a lasciare del materiale. Lui mi ha guardata sorridendo: “Tu sei furba, e non hai paura”».
Cavaliere della Repubblica
Terminata la quarantena la vita è ricominciata e Yvette Yanzege è tornata a Riccione (questa volta per davvero), sempre tra i ranghi della Croce Rossa. Tutto come prima, almeno fino al 3 giugno. «Marco mi ha chiamata, mi ha detto di correre, che avevamo vinto una cosa importante. Non mi ha spiegato di cosa si trattasse». A spiegarlo è stata una giornalista, che dopo cinque minuti l’ha contattata per una intervista. Yvette Yanzege era al mercato, e non aveva idea di cosa stesse accadendo.
C’era tanto rumore. Ho gridato che l’intervista l’avrei fatta dopo. Nemmeno sapevo cosa fosse un Cavaliere della Repubblica. Da noi si dice Chevalier de Léopard
Tornata a casa, ha chiesto al marito che sapeva già tutto. «Era incredulo e ha iniziato a chiamare tutti, a mandare la mia foto ai suoi amici. E pensare che lui nemmeno voleva che io andassi via, ma ora ridiamo assieme quando mi dice che sono famosa». Una fama inaspettata che ha cambiato qualcosa: «Io sono come prima, ma le altre persone no. Vedo che adesso mi rispettano di più, sono premurose. Si interessano a me. Prima no». Anche se la sua condizione da disoccupata persiste, l’onorificenza ha generato qualcosa di unico:
Mi sono arrivati più di 400 messaggi. Gente che non ho mai visto mi ha scritto. Hanno visto il mio nome nei giornali e mi hanno cercata per ringraziarmi. Soprattutto italiani, non solo dal Nord, anche dalla Sicilia: da tutta l’Italia
Riconoscenza sincera per Yvette Yanzege, Cavaliere della Repubblica da un mese a questa parte, ma italiana da quasi 10 anni: «Se mi sento più italiana ora che sono Cavaliere? Ma no! Io sono in Italia, no? È il mio Paese. Mi sento italiana da quando sono arrivata. Ero italiana prima del Covid e lo sono anche ora, né di meno, né di più».