Vanessa Sesma, 44 anni, messicana, cittadina italiana dopo un matrimonio con un nostro connazionale, in Italia dal 2000 al 2005 e poi stabilmente dal 2013, imprenditrice, ha costituito due associazioni per favorire gli imprenditori messicani che vogliono investire in Italia o i messicani già nel nostro Paese che vogliono fare impresa. Sono ItalMex, Associazione di commercio Italia México e la startup Migrantpreneur, alla lettera migrante imprenditore, per sostenere gli ispanici che vogliono fare impresa in Italia.
Una mission non facile, racconta lei: «Il primo problema è la lingua. Poi la burocrazia. Infine il credito. Le banche chiedono spesso garanzie rigide anche a chi è già imprenditore ma viene dall’estero. Meglio se queste garanzie sono fornite da un italiano. Ci sono poi commercialisti che ci hanno detto che loro preferiscono non trattare con gli stranieri».
Come mai ha scelto di venire in Italia?
«Sono arrivata nel 2000 e ho conseguito un master in Fashion Design. Qui a Milano ho conosciuto mio marito. Ci siamo sposati nel 2002 e così ho preso la nazionalità e la cittadinanza. Oggi sarebbe più complicato, è cambiata la legislazione verso gli stranieri in Italia».
Sostenere le imprese messicane in Italia e i messicani che vogliono fare impresa, un compito non facile…
«Vogliamo creare business. Con ItalMex, l’Associazione di Commercio Italia México, facciamo da ponte per gli imprenditori dei nostri due Paesi. Con Migrantpreneur, un progetto nato a fine dicembre dell’anno scorso, aiutiamo gli ispanici che sono già in Italia e vogliono fare impresa. Li sosteniamo nelle difficoltà iniziali. Facciamo eventi, siamo su Facebook e su Instagram, li aiutiamo in tutti i problemi che devono affrontare».
Tanti si immagina…
«La difficoltà maggiore è legata all’accesso al credito. Se non hai un supporto economico o la residenza è praticamente impossibile ottenere finanziamenti. La lingua è un altro problema. La terminologia tecnica o giuridica non è certo di facile comprensione. E alla fine c’è il problema dell’assenza di una rete tra gli imprenditori. Magari c’è chi ha una buona idea e si ferma davanti alle difficoltà perché non sa come realizzarla».
Quali sono i settori imprenditoriali con cui avete più a che fare?
Ci siamo lanciati sul food e sul design, su architettura e artigianato. A oggi sono almeno un centinaio gli imprenditori coinvolti.
Quante persone collaborano con lei?
«Come ItalMex siamo in 4, tutti messicani. In Migrantpreneurs siamo 3 donne, sempre messicane. Abbiamo rapporti con il Comune di Milano, le associazioni di categoria, la nostra ambasciata…».
Siamo in tempi di crisi. Fa la differenza essere imprenditori stranieri?
«È più difficile. C’è chi non sa proprio come muoversi. Già la burocrazia italiana non è easy. Anche se in Messico sei già un imprenditore la tempistica di qui è pazzesca. Ci vuole anche un mese per aprire un conto corrente. In banca chiedono una fideiussione a garanzia, preferiscono se c’è un italiano di mezzo. Ci sono commercialisti che non vogliono lavorare con imprenditori messicani, sono vittime di pregiudizi antichi».
Anche se hai delle qualità, fanno problemi solo perché sei straniero. E questo a Milano, che è una realtà dinamica. Non voglio pensare alle altre regioni, dove tutto è più complicato. La migrazione di alto livello in Italia è una cosa che si conosce ancora troppo poco. Ci vorrà del tempo, ma la politica deve darsi da fare. Certo che se lo straniero arriva dal Canada o dagli Stati Uniti, di sicuro ha meno problemi.
Una delle cose di cui gli stranieri si lamentano in Italia è il problema della rappresentanza.
«Vero, ci vorrebbero più stranieri nelle associazioni di categoria. Bisogna abbattere una barriera culturale, non solo linguistica. Ma anche gli immigrati non devono essere più solo passivi. L’Italia può crescere molto. Le grandi economie sono risalite quando si sono aperte anche a chi era straniero».
Queste difficoltà e pregiudizi verso gli imprenditori stranieri nel nostro Paese, si possono considerare una forma di razzismo?
«La diffidenza verso gli stranieri che fanno impresa è dovuta alla paura, ad antichi pregiudizi e alla fine può anche ricadere in una forma sottile di razzismo».