Quali sfide ha davanti a sé l’Africa nel nuovo anno? Innanzi tutto quella della pandemia. Dopo una prima fase (che grosso modo corrispondeva alla nostra prima ondata) in cui l’Africa si era sostanzialmente salvata grazie a un tasso di contagi molto più basso di quello di tutti gli altri continenti, ora la variante sudafricana sta moltiplicando la velocità dell’epidemia e inizia a mietere molte più vittime. Gli esperti prevedono che a breve sarà colpita l’Africa australe e poi a seguire tutto il resto. Da ciò si desume la necessità di iniziare presto la campagna di vaccinazioni. L’Onu, attraverso l’operazione Covax, ha prenotato 600 milioni di dosi; l’Unione africana altri 300 ma ancora non basta per un continente che adesso ha 1,2 miliardi di abitanti e crescerà fino a raddoppiarli nel 2050. Inoltre, il rallentamento delle produzioni Pfizer e AstraZeneca non lascia ben sperare. I leader del continente si sono già rivolti a russi e cinesi ma, oltre le promesse, non si è ancora visto nulla, salvo qualche sperimentazione in Egitto e Guinea Conakry. Se l’Africa dovesse essere travolta da un’ondata pandemica forte, si causerebbe un disastro umanitario di prima grandezza vista l’assenza cronica di strutture sanitarie adeguate.
Lo scenario economico
Accanto al coronavirus c’è la sfida economica: per la prima volta anche l’Africa decresce in termini di Pil, dopo essere stata tra il +4 e il +6 di media negli ultimi vent’anni. Le conseguenze saranno pesanti per un’economia già quasi tutta informale o legata alle concessioni estrattive di minerali, petrolio e gas. A questo corrisponde una diminuzione dell’aiuto pubblico allo sviluppo dei Paesi dell’Ocse tra cui, in particolare, l’Europa e gli Usa. Il rallentamento economico si farà sentire anche nel settore degli investimenti e in quello dei prestiti.
In questi anni recenti molti Paesi africani hanno emesso buoni del tesoro puntando sulla crescita e ora hanno difficoltà a rimborsare e rischiano il default
Lo Zambia ha già dichiarato default tecnico non essendo riuscito a rimborsare le tranche del debito da agosto a oggi. Altri Paesi seguiranno e ci si aspetta un’altra crisi del debito generalizzata. Così, finisce per aver ragione il Fmi che aveva criticato la ripresa dell’indebitamento africano dovuto in particolare ai prestiti cinesi.
Una buona novità del 2021 è certamente la firma dell’accordo per il grande mercato unico africano. Tuttavia, agli annunci deve ora seguire la fase della lunga serie di adempimenti tecnico-legislativi per ridurre o azzerare i dazi tra nazioni, che è appena iniziata. Non sarà una strada semplice perché, seppure tutti gli Stati sono d’accordo sul principio, molti hanno contenziosi commerciali frontalieri aperti come recentemente si è visto tra Nigeria e Benin, con Abuja che contesta a Cotonou di favorire il contrabbando e chiude i confini. Servirebbe un’autorità centrale per dirimere le contese e portare avanti tutto il processo ma l’Unione africana (a cui toccherebbe tale compito) è particolarmente debole in questo momento e soffre di una crisi di autorevolezza.
Nuovi assetti politici
Il 2021 si annuncia inoltre con la cattiva notizia delle tensioni interne all’Etiopia e tra questo Paese e il Sudan. Si tratta di un sistema di conflitti a cui si aggiungono anche la contesa per la Gerd (la grande diga sul Nilo, costruita da Salini, che oppone Egitto, Sudan ed Etiopia stessa), l’annosa crisi somala e la mancata democratizzazione eritrea. La fragile struttura etnofederalista etiopica sta andando in pezzi e la guerra tra Addis Abeba e i tigrini del Tplf ne è grave dimostrazione. A ciò si aggiunga l’insoddisfazione degli oromo e le tentazioni centrifughe delle etnie del sud.
Il premier Abiy Ahmed ha davanti a sé mesi molto complicati per salvare l’unità del Paese senza tradire la spinta democratica a cui ha dato impulso
Potrà forse aiutarlo l’avvio di una nuova amministrazione americana a guida Biden, il quale ha tutto l’interesse di pacificare l’area e di sostenere un’Etiopia forte e unita. Ciò è cruciale per controbilanciare l’influenza cinese nella regione, che si è fatta molto sentire in questi anni recenti senza che nessuno la equilibrasse. Ma una rinnovata presenza Usa è essenziale anche per contrastare la penetrazione dello jihadismo globale in Africa, già installato nel Corno da anni (si rammentino gli attentati di al-Qaeda contro le ambasciate Usa di Dar Es Salaam e Nairobi nel 1998) con la presenza degli shabab somali e ora quella del nuovo raggruppamento estremista nella provincia settentrionale di Cabo Delgado in Mozambico. La forza espansiva jihadista preoccupa le cancellerie occidentali, tanto che la Francia avrebbe deciso di impegnarsi militarmente in Mozambico, oltre che in Mali e Burkina come già fa ora mediante l’operazione Barkhane.
Il futuro in mano ai giovani africani
Infine, i leader africani hanno davanti a sé la sfida dei giovani. Oltre il 70% della popolazione africana è sotto i trent’anni: un immenso popolo che non ha molte possibilità di trovare lavoro e costruirsi un futuro stabile. Anche se la nuova classe media africana è cresciuta grazie ai benefici della globalizzazione, si tratta di circa 300 milioni di persone su un totale di 1,2 miliardi: ancora troppo poco per diventare una reale alternativa a cui possa aspirare la maggioranza. Di conseguenza davanti a così tanti giovani si aprono pericolose strade alternative: quella della violenza (jihadista, etnica o ribelle) oppure quella dell’emigrazione (che fa paura a un’Europa un po’ declinista). Questo mette in crisi la stessa evoluzione democratica di molti Paesi africani, in cui la popolazione è tentata di seguire leader autoritari, etnici o millenaristi (sul modello russo, turco, cinese ecc.), provvisti di una narrativa che pare meglio rispondere alle incertezze del presente. Se non sarà data risposta alle esigenze dei giovani è possibile che si possa assistere a fenomeni di destabilizzazione sociali e politici di grande ampiezza. Malgrado ciò, la società civile del continente ha dato segnali anche recenti di maturità e di dinamismo che lasciano ben sperare.