Si torna a parlare di una seconda primavera araba e NRW ha cercato di comprendere la portata delle più recenti proteste facendo la spola fra Tunisi e Roma, anche se virtualmente. E interpellando una docente universitaria di origini tunisine che vive a Roma e un giovane regista tunisino, da anni impegnato in iniziative sociali nelle periferie milanesi che vuole esportare il modello della piattaforma Rosseau a Tunisi, nonostante il declino dei M5s in Italia.
La seconda ondata delle proteste in Tunisia, dove è iniziata la prima delle primavere arabe che si sono trasformate in un lungo inverno, è populista? Leila El Houssi, docente di Storia e istituzioni dell’Africa alla Sapienza di Roma, spiega: «Stanno emergendo movimenti più o meno populisti di vario orientamento politico, in maniera prevedibile per un Paese che sta cercando di evolversi e creare un sistema democratico e laico. Anche l’elezione del nuovo presidente, Kais Saied, un uomo esterno sia ai partiti laici ma anche a quelli islamici, è sintomo di un sentimento anticasta e di rifiuto alle strutture politiche già viste. È difficile dire quante e quali iniziative attecchiranno, ma sono sicuramente sintomo di un Paese frammentato e in cerca di risposte».
La Tunisia l’abbiamo lasciata al termine della (da noi) nominata Rivoluzione del Gelsomino nel 2011, quando di fatto è stata aperta la via politica al partito di matrice islamica Ennahda, che El Houssi chiarisce essere «affiliato ai Fratelli Musulmani in Egitto, ma formalmente aperto a una maggiore pluralità politica». Ma se crediamo che la vita politica sia rimasta silente per 10 anni, per poi esplodere nuovamente, sbagliamo. La Tunisia è rimasta in fermento e, a distanza di un decennio dall’esplosione delle proteste nel 2011, deve confrontarsi con promesse fatte e mai mantenute, con il fallimento di quella che doveva essere una nuova fase politica dopo 23 anni di dittatura di Ben Alì. Il Covid ha poi segnato il culmine del malcontento, stravolgendo il già fragile sistema sanitario del Paese, e stremando l’economia tunisina con ripetuti lockdown. Perciò NRW ha intervistato uno dei fondatori di uno dei molti movimenti che stanno affiorando nel tessuto politico tunisino, Rabii Brahim, che vive fra l’Italia e la Tunisia, dove sta cercando di creare la variante tunisina del M5s, il Movimento 13 marzo, nome provvisorio che indica il giorno in cui si terrà il loro primo congresso.
Chi scende oggi nelle piazze di Tunisi a protestare?
Principalmente i giovani. Oggi in strada scendono quei ragazzi che nel 2011 avevano dieci anni, cresciuti senza dittatura e con Internet, e che ora chiedono di più: un governo veramente laico, una maggiore libertà su tematiche considerate tabù come i diritti lgbt e la gender equality. una protesta puramente civile che coinvolge soprattutto i giovani
Nel 2011 le proteste avevano di fatto spianato la via all’islamismo, con il riconoscimento del partito religioso Ennahda. C’è una componente religiosa nelle proteste anche stavolta?
«No. Ennahda al momento fa parte della maggioranza, non avrebbero motivo di protestare o far cadere l’esecutivo. Chi è in piazza oggi vuole uno sradicamento completo del sistema politico tunisino, la fine di un sistema clientelare e corrotto. I cittadini sono stati ulteriormente impoveriti a causa delle restrizioni per il Covid e il governo afferma di non avere budget per comprare vaccini sufficienti per tutti. Poi però comprano decine di camion militari. È per questo che persone come me, di vari orientamenti politici, hanno capito che dall’esterno le cose non si cambiano, si può solo provare a sradicare dall’interno del sistema politico».
Il movimento che state fondando è apolitico o ha un orientamento ideologico?
«Abbiamo sicuramente un orientamento di sinistra popolare, vogliamo dare voce alle frange più povere della società. Alcuni di noi prendono spunto da una tradizione anarchica, ma il nostro intento è sradicare questo sistema politico, non la politica in generale».
Che modello immaginate?
Ci ispiriamo al modello Russeau, dal punto di vista di una rappresentazione popolare più ampia. Stiamo organizzando dei gruppi di lavoro per iniziare un confronto su tematiche su cui i tunisini hanno bisogno di confrontarsi, come la libertà sessuale ma anche il diritto al welfare, e immaginiamo la creazione di diversi manifesti che convergano in un programma politico comune. Il modello dei M5s è in parte ispirazione, ma vogliamo evitare le scelte che lo hanno portato al declino in Italia
In cosa vi distanziate dal modello dei pentastellati?
«Vogliamo dare voce a tutti, alle periferie, ai poveri, a chi ad oggi viene emarginato. Ma il risultato di queste consultazioni è in mano a un comitato scientifico e a governare poi dovranno essere dei tecnici senza ideologia politica».
All’occidente che oggi torna ad interessarsi alla Tunisia, cosa direbbe?
Sosteneteci, ma non romanzate a tutti i costi il Medio Oriente. La chiamate la rivoluzione del Gelsomino, la Primavera Araba… Non sono ondate eroiche e oniriche, qui il cambiamento si sta conquistando di giorno in giorno, con le unghie e con i denti
Ci sarà un aumento di violenza da parte delle forze dell’ordine?
«Non ho dubbi, già ultimamente c’è stato un netto aumento di episodi violenti. Le proteste nascono come dimostrazioni pacifiche di democrazia, ma ci sarà della violenza da subire per costruire una Tunisia più libera».