La trattativa all’interno della maggioranza per arrivare a un’intesa sulla regolarizzazione dei migranti per ora è solo una bozza tecnica. Manca ancora un accordo politico, o meglio un compromesso, che riesca a superare i veti degli esponenti del M5S per arrivare a un provvedimento da inserire nel decreto di maggio. A volere una legge che permetta di far emergere i lavoratori in nero sono in tanti: gli imprenditori che vogliono riattivare la filiera agricola, una rete molto ampia di associazioni, studiosi, esperti e operatori da sempre in prima linea per la difesa dei diritti dei migranti. Per ora il risultato pare modesto: si parla di permessi di soggiorno di pochi mesi che riguarderebbero poche migliaia di persone. A metterci la faccia è il ministro delle Politiche Agricole, Teresa Bellanova, disposta a giocarsi la poltrona, come continua a ripetere. NRW le ha chiesto di fare un ragionamento più ampio per avere una prospettiva che vada oltre allo scontro politico e alla contingenza economica.

In Portogallo è già stato deciso di regolarizzare tutti gli stranieri senza permesso di soggiorno anche per monitorare il contagio del Covid. Cosa pensa si dovrebbe fare in Italia? 

«Quello che si sarebbe già dovuto fare da tempo, se i lavoratori migranti non fossero stati trasformati per puro calcolo di posizionamento politico ed elettorale in nemici sociali. In parte già indicato nel piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato approvato nel febbraio scorso e condiviso dalle ministre Nunzia Catalfo (Lavoro) e Luciana Lamorgese (Interno) e dal ministro Giuseppe Provenzano (Sud e Coesione Territoriale), in cui si prevede la mappatura dei fabbisogni di lavoro agricolo, di una piattaforma per l’incrocio trasparente tra domanda e offerta di lavoro, di permessi stagionali per lavoro regolare». 

E la piattaforma è stata creata?

«Avrebbe dovuto realizzarla l’Anpal (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro) e il ministro del Lavoro ha parlato di un’app che avrebbe già dovuto essere disponibile, ma dalle parole apparse sui giornali del presidente di Anpal, Domenico Parisi, è emerso che non solo la piattaforma non esiste, ma si immagina un numero verde di là da venire e un accordo con le Regioni nei prossimi dieci giorni. Non amo i giri di parole e quindi traduco così: proprio lo stesso giorno in cui il presidente dell’Inps conferma la giustezza della regolarizzazione del lavoro irregolare, il presidente di Anpal dice che la piattaforma non esiste».

Il sindacalista Aboubakar Soumahoro sostiene che i “braccianti vanno regolarizzati perché esseri umani e non perché necessari”.

«E infatti non c’è una mia dichiarazione o intervista in cui non abbia messo al primo posto la dignità delle persone, straniere o italiane non fa differenza. Per me l’urgenza inderogabile è quella di sottrarre le lavoratrici e i lavoratori al ricatto dei caporali. Anche le imprese subiscono il ricatto di chi intermedia illegalmente o informalmente il lavoro ed eroga quei servizi necessari, dal trasporto alle mense agli insediamenti informali. Lo Stato non può essere complice e addirittura fautore dell’illegalità cui sono costretti questi lavoratori».

L’idea della regolarizzazione è avvenuta soprattutto sulla spinta della Coldiretti? Il provvedimento riguarda solo i braccianti per sottrarli al caporalato e riattivare la filiera agricola?

«Su questo punto parla la mia storia personale, iniziata tanto tempo fa nelle campagne brindisine. La mia battaglia contro il caporalato, per la tutela del lavoro e dei lavoratori non è condizionato dalla spinta di nessuno ed è importante, direi rilevantissimo, che dalle associazioni e dalle imprese arrivi una spinta forte in questo senso. Significa che sono passati anni luce da quando per le aziende i caporali erano semplicemente erogatori di un servizio necessario anche se irregolare, insano, perverso. Puntiamo a riequilibrare la catena del valore all’interno della filiera perché le contraddizioni non si scarichino sugli anelli più deboli: la concorrenza sleale è un veleno, un problema enorme. Come lo è il fattore reputazione, che sui mercati globali ormai è determinante».

Ecco perché dico: o è lo Stato a recuperare il suo ruolo di garante dell’intermediazione legale tra domanda e offerta oppure noi consegniamo queste persone e le aziende alla criminalità. Trovo sconcertante la resistenza della ministra del Lavoro davanti a questa verità certa, sebbene abbia sottoscritto l’obiettivo del Piano triennale di prevenzione.

Secondo lei solo con il concetto di necessità si potrà arrivare ad una soluzione?

«Nessuno può fingere di non vedere quello che era già sotto gli occhi di tutti, inclusi l’indecenza e l’orrore dei ghetti in cui vivono migliaia di lavoratori irregolari privi di permesso di soggiorno, costretti a lavorare in nero in condizioni indescrivibili, come continuano a dire le indagini di magistratura e forze dell’ordine, anche in queste ultimissime ore».

Il diritto al lavoro regolare è tema che riguarda noi, non solo i lavoratori migranti. Riguarda gli italiani. Nel nostro ministero c’è una sala dedicata a Paola Clemente, morta mentre era al lavoro a fare l’acinellatura dell’uva. La necessità non è solo quella della mancanza di lavoro stagionale ma quella del diritto alla dignità del lavoro per tutti

Il provvedimento è solamente mirato a superare un’emergenza o finalizzato a una diversa politica migratoria? 

«Penso, e non da oggi, che spesso si è preferito affrontare la questione migranti come un tema securitario, legato all’ordine pubblico e alla sicurezza. Non è così. Rischia di diventarlo, e lo è diventato, se invece di affrontarlo politicamente ci si riduce alle scorciatoie. Su questo tema e sulla pelle di questi disgraziati, moltissimi hanno lucrato politicamente. Voltandosi dall’altra parte quanto queste stesse persone diventavano funzionali a un sistema di economie in nero. Una classe dirigente che si rispetti ha il compito di dare le risposte migliori alle contraddizioni del presente, senza scaricarle su disperati che arrivano dall’altra parte del mondo per la speranza di una vita migliore. E non possono fare paura a meno che qualcuno non inizi a dipingerli come il nemico. Per questo proprio noi, e non adesso, abbiamo parlato di Migration compact e di politiche europee in questa direzione».

In Italia abbiamo migliaia di giovani di seconda e terza generazione, che hanno studiato e si sono laureati nel nostro Paese. Anche per loro bisognerà trovare uno stato di necessità per farli diventare cittadini italiani?

«Credo, e non da oggi, che l’integrazione sia il modo migliore per garantire la sicurezza sociale. Quelle giovani donne e quei giovani uomini hanno vissuto e studiato con i nostri figli, diventandone spesso i migliori amici. Parlano la nostra lingua, sono nostri concittadini di fatto. Credo sia opportuno lo divengano anche in punta di diritto».

Ci sono le condizioni per la regolarizzazione o i veti all’interno della maggioranza da parte di esponenti del M5s saranno un ostacolo insormontabile?

«Il mio impegno è trovare la sintesi migliore, perché le distanze non siano ostacoli insormontabili. Se dovessero confermarsi tali, ne prenderò atto politicamente. Non sono al Governo né per fare tappezzeria né per garantire esclusivamente me stessa. Questa idea meschina della politica non mi appartiene. Per questo confido nella sintesi migliore».

Non mi accontenterò di soluzioni al ribasso. Su questo tema si sono già espressi senza ombra di dubbio e autorevolmente il Papa, la Cei, il volontariato, la Caritas. Se non vogliono dare retta a Teresa Bellanova, almeno ascoltino Papa Francesco.

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