La paura, il freddo, anche quando sui monti la neve inizia a sciogliersi. Non solo i lupi, ma anche i cani della polizia, addestrati a mordere, a lacerare. Le trappole lungo il percorso, le dogane presidiate dal fino spinato, se non dai muri. Infine la fortuna, se non proprio la sorte.

Hanno molti punti in comune gli innumerevoli racconti che risuonano ormai fedelmente simili, per quanto agghiaccianti, alle realtà (italiane e non) impegnate nella difesa dei diritti delle persone che attraversano la rotta balcanica e nel rispetto dei principi fondamentali lì dove la normalizzazione delle violenze sembra diffondersi in modo preoccupante.

Per questa ragione la neonata rete di associazioni, tra le quali Asgi, (l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) RiVolti ai Balcani ha deciso di passare alla denuncia e alla documentazione puntuale di quanto, da cinque anni a questa parte, sta avvenendo lungo tutto il tragitto migratorio.

Ne è nato il report “Rotta Balcanica: i migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” scaricabile dal sito di Altreconomia che ne ha curato la redazione.

Un lavoro che analizza il percorso sul quale transita una parte non indifferente dei rifugiati siriani, afghani, iracheni, iraniani o pakistani che, negli ultimi anni, ha cercato protezione nel nostro continente.

Si parte dal 2015, l’anno chiave della rotta balcanica, e non solo perché il 5 settembre di quell’anno veniva ritrovato sulle spiagge turche il corpo senza vita di Alan Kurdi, bimbo curdo-siriano di tre anni diventato simbolo di una tragedia istantaneamente condivisa, e poco dopo dimenticata. È l’anno della definitiva serrata della “Fortezza” europea, ovvero della chiusura del canale legalizzato, economico e tutelante in favore di un “accordo” (o presunto tale) tra Unione europea e Turchia per esternalizzazione della gestione dei flussi migratori e del controllo delle frontiere dell’Unione europea – attore chiave di queste politiche è, ricorda il report, proprio l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera un tempo chiamata Frontex, il cui budget è cresciuto senza sosta.

Il documento raccoglie tutto quanto è seguito, i capannoni abbandonati o barrack serbi, il muro ungherese, gli abusi perpetrati dalle polizie bulgare e croate, la situazione insostenibile di campi come quello bosniaco di Bihać, ma anche la crescente criminalizzazione della solidarietà. Games of violence, il gioco della violenza, lo battezzerà nel 2017 Medici Senza Frontiere, mentre solo tra gennaio 2018 ed ottobre 2019, l’Unhcr registrerà nei 18 centri per migranti e richiedenti asilo tra le 2.400 e le 4.200 persone toccando le quasi 5.900 presenze a gennaio 2020 prima dell’emergenza Covid-19.

Ed è qui che si arriva: al nulla di fatto, all’inesorabile declino. Ovvero, il peggioramento della situazione geopolitica nell’area mediorientale e il cambiamento della politica migratoria turca rendono i richiedenti asilo un prezioso elemento di pressione da parte del governo turco, ma anche la miccia destinata a far esplodere le tensioni greche. La pandemia globale diventa così oggi il paravento dietro il quale nascondere iniziative di detenzione di massa in Grecia o le riammissioni informali tra Italia e Slovenia.

Soprattutto il silenzio di un’Europa che, denuncia RiVolti ai Balcani, ormai non gira più neanche le spalle – è direttamente connivente.