La leader di +Europa risponde al questionario di Radici e, sapendo di cosa parla, dimostra che la vera emergenza ora sono gli stereotipi.

 

Radici: Non le sembra che il dibattito mediatico e politico sia eccessivamente polarizzato fra chi considera gli immigrati tutte vittime e chi solo un problema?

Bonino: Questo è il racconto che imperversa da qualche anno, da quando la propaganda demagogica ha deciso di fare del tema dell’immigrazione come invasione il suo cavallo di battaglia per la conquista del consenso, puntando sulla paura e sui timori che inevitabilmente il confronto con lo straniero e l’aumento dei flussi migratori verso l’Italia e l’Europa hanno suscitato. Anche tacciare di buonismo quanti si occupano di immigrazione è un discorso funzionale a non parlare della realtà per quella che è. Di fronte a un fenomeno che appartiene alla storia dell’umanità l’unico modo per affrontarlo è provare a governarlo con lucidità, nel rispetto dei diritti e dei doveri richiesti a ogni cittadino in un sistema democratico.

 

Radici: L’accoglienza è solo emergenziale o esistono altri modelli?

Bonino: Anche la narrazione dell’accoglienza come emergenza o addirittura come “business” – parola ripetuta ogni giorno dagli esponenti del nuovo governo – è funzionale alla diffusione del messaggio propagandistico dell’insicurezza, della minaccia. Nonostante le enormi difficoltà di questi anni e i non pochi esempi di inadeguatezza del sistema, siamo riusciti, anche grazie all’impegno di tanti sindaci, a creare un modello di accoglienza, lo Sprar, che funziona perché finalizzato all’integrazione della persona nel territorio e alla sua autonomia. Quella è la direzione da seguire e sono migliaia le buone prassi che lo dimostrano.

 

Radici: Non pensa che le regole di ingaggio di Triton che impongono all’Italia di farsi carico di chi soccorre, sia sbagliato? Non crede che il peso vada redistribuito su tutta Europa?

Bonino: Al di là di quanto previsto dall’operazione Triton, ormai superata da Themis anche in merito alla clausola che obbligava di fatto qualunque imbarcazione a portare i naufraghi soccorsi in Italia, il punto debole sta nell’atteggiamento generale da parte dei governi nazionali del tutto contrario al principio di solidarietà tra gli stati fondanti dell’Unione. La competenza europea sulla politica delle migrazioni è molto ridotta e non ci sono strumenti per imporre solidarietà di fronte al fenomeno che sta investendo il nostro continente. Se a prevalere è la sovranità degli stati – come dimostra il gruppo di Visegrad – il colpo assestato all’idea stessa di Unione, e al nostro Paese, rischia di essere pesantissimo. E il governo attuale farebbe bene a fare attenzione al suo posizionamento verso quell’asse.

 

Radici: Come risolverebbe il problema dei ghetti e dei Cara [i Cara sono i Centri di accoglienza per richiedenti asilo: le strutture in cui vengono accolti i migranti appena giunti in Italia, n.d.r.]?

Bonino: I Cara sono ormai da anni ritenuti un fallimento e la normativa nazionale ha già previsto il loro superamento. Quanto ai ghetti, oltre a una presenza efficace dello stato nell’assicurare maggiori controlli e riaffermare la legalità, credo sia necessario mettere mano alla legge Bossi-Fini che non ha fatto altro in questi anni che provocare irregolarità e sfruttamento, costringendo i lavoratori stranieri a subire condizioni terribili. È quanto stiamo cercando di fare con la legge di iniziativa popolare “Ero straniero”, depositata alla Camera e in attesa di essere discussa.

 

Radici: A proposito di stereotipi. Sa quanti sono i nuovi italiani? Glielo diciamo noi: Più di quanti ne sono sbarcati quest’anno: 240 mila.

Bonino: Sì, il numero di cittadinanze italiane acquisite recentemente dimostra che c’è una fetta di popolazione che è riuscita, nonostante tutto, a diventare parte della nostra società. E del resto sono milioni i cittadini stranieri che vivono e lavorano nel nostro Paese, contribuendo a far crescere l’Italia.

 

Radici: Come immagina la vita di uno straniero integrato?

Bonino: Non devo immaginarla, i cittadini stranieri, ripeto, fanno parte a pieno titolo della nostra società e lo vediamo tutti i giorni. Proviamo a immaginare un giorno senza immigrati, come nel celebre film americano: la realtà sarebbe così evidente che basterebbe forse a mettere fine a tante becere speculazioni.

 

Radici: Sa quante imprese sono state create dagli stranieri? Che lavori fanno?

Bonino: Ho letto recentemente il rapporto Unioncamere su questo: le imprese straniere sono quasi il 10% di tutte quelle registrate sul territorio e crescono quasi cinque volte più della media. Del resto basta guardarsi intorno: commercio al dettaglio, il settore delle costruzioni, la ristorazione sono gli ambiti in cui è più facile imbattersi in cittadini di origine straniere. Direi che sono dati eloquenti che smentiscono qualsiasi descrizione degli immigrati sempre e solo come vittime.

 

Radici: Perché la politica non si occupa, quasi, delle seconde generazioni di immigrati? Secondo lei, è una minoranza quella che frequenta l’università?

Bonino: Fino a pochi decenni fa il nostro Paese, rispetto ad altri stati europei, non si era ancora confrontato con l’immigrazione e abbiamo pian piano trovato un modo nostro di dialogare e includere quanti hanno scelto l’Italia per vivere e lavorare, non senza alcune criticità. C’è ancora molto da fare, soprattutto in termini di integrazione, ma i dati relativi agli studenti nelle nostre scuole disegnano una società aperta e ricca senza preclusioni rispetto alle opportunità di affermazione. Uno studio recente della Fondazione Leone Moressa ci dice che gli alunni stranieri nell’anno scolastico 2016-2017 sono stati 826.091, pari al 9,4% del totale e che negli ultimi dieci anni il loro numero è aumentato di ben il 44%, mentre quello degli italiani è diminuito del 5,7%. Sta inoltre crescendo il numero di figli di immigrati che frequenta le università. In questo senso è stato senz’altro miope sprecare un’occasione importante come la riforma della legge sulla cittadinanza ma, come nel caso della Bossi-Fini, è tra gli obiettivi su cui continuare a impegnarsi.

 

 

 

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