Torna il questionario/tormentone di Radici ai politici. Questa settimana abbiamo interrogato Marco Follini, che ha superato l’esame in modo brillante.
Radici: Non pensa che il dibattito sull’immigrazione sia eccessivamente polarizzato e prigioniero di una narrazione sfuocata?
Follini: In effetti, è diventato un dibattito “ideologico”, polarizzato su questioni di principio. Si delinea un’alternativa quasi sentimentale, tra chi pensa sia umana, giusta e doverosa l’accoglienza e chi invece si attesta sulla linea di difesa delle frontiere e dell’italianità. Messa così, è ovvio che la prima posizione è giusta e la seconda finisce per avere qualche tratto di grettezza, se non addirittura di poca umanità.
Radici: Come si fa a scoraggiare immigrazione illegale e fermare traffico di esseri umani, senza abbandonare i migranti alle vessazioni e alle torture in Libia?
Follini: Problema epocale, è evidente. Io credo che il vero tema, per noi, sia quello dell’integrazione. Come mettere a fuoco un insieme di diritti e doveri su cui fondare la cittadinanza italiana. Che significa accogliere, ma anche fissare regole e principi senza i quali l’accoglienza a lungo andare non avrebbe luogo. O meglio, non troverebbe tra di noi le risorse di consenso di cui ha bisogno.
Radici: Cosa intende per integrazione?
Follini: Accogliere, ma insieme dettare condizioni rigorose. Le stesse condizioni, ovviamente, che dobbiamo essere capaci di dare a noi stessi.
Radici: Sa quanti sono i nuovi italiani? Glielo diciamo noi: 1 milione e 300 mila. Nessuno ne parla, a meno che siano atleti e vincano medaglie d’oro. Lei cosa pensa a proposito?
Follini: Non è vero che non se ne parla. Piuttosto, direi che ne parliamo per stereotipi. Che è sempre il modo migliore per creare equivoci e dissapori.
Radici: Che lavori fanno gli stranieri? Secondo lei, fanno solo lavori poco qualificati o anche specializzati e qualificati?
Follini: Fanno i lavori più diversi, è ovvio. Non sono il nostro esercito di riserva. E il loro peso, il loro rilievo, il loro valore sono destinati a crescere. È una sfida. Dipende da noi fare in modo che quella sfida accresca le potenzialità del nostro Paese. Che non è più solo “nostro”. E che dobbiamo cominciare a imparare a vivere in modo più aperto.
Radici: Le pare fondata l’affermazione di Tito Boeri: abbiamo bisogno di immigrati che paghino le nostre pensioni?
Follini: Condivisibile, ovvio. Anche se fa parte di una ovvietà che si fa fatica a far diventare senso comune.
Radici: Sa quante imprese sono state create dagli stranieri?
Follini: Molte, e saranno sempre di più. La globalizzazione ha internazionalizzato a nostre spese i vertici delle imprese. Ora ne internazionalizza le basi produttive. Ma questo dovrà indurci a pensare di più, a pensare meglio, a pensare più in profondità su cosa significa essere “italiano”. Che non è una bandierina da sventolare, ma un carattere da plasmare alla luce di circostanze epocali così diverse dal passato.
Radici: Che percezione ha delle seconde generazioni di immigrati nati o cresciuti in Italia?
Follini: Che sono un passo nella giusta direzione. Ma il punto è: come si può riuscire a far condividere quella direzione a una parte più larga di noi? Temo che su questo siamo in ritardo. I sovranisti sono fermi al loro medioevo. Ma noi, tutti gli altri, siamo fermi ai buoni sentimenti. Che sono la base, ma hanno bisogno di uno svolgimento più denso e profondo.
Radici: Siamo davvero davanti a un’emergenza razzismo?
Follini: Il rischio c’è. Per questo insisto. Il tema è: l’integrazione. Come allargare le basi della nostra cittadinanza. Come coltivare il nostro Paese, migliorarlo, mantenerlo, rinnovarlo. Su questo bisognerà pensare a un’alleanza più larga. Tra noi e chi arriva dalle nostri parti. Come stringere un patto. Come formare una comunità di destino. Che ovviamente non è il “sangue”. È il “luogo”. Cioè un Paese che dobbiamo condividere ampliando, ripeto, sia la sfera dei diritti che quella – imprescindibile – dei doveri.
Radici: Secondo lei che studi fanno? Solo istituti tecnici o anche i licei?
Follini: Studieranno sempre di più, inevitabilmente. E ci sfideranno. Ma quella sfida, se la sappiamo cogliere, è una straordinaria occasione di crescita civile. E anche “nazionale”, in senso giusto.
Radici: Secondo lei è una minoranza quella che frequenta l’università?
Follini: Una minoranza che col tempo si allargherà. Come è capitato a tanti italiani in cerca di fortuna in terre straniere.
Radici: L’accoglienza, in Italia, è solo emergenziale o esistono altri modelli adottati o da adottare?
Follini: Oggi è un’emergenza. In futuro diventerà sempre più un’opportunità. Ma deve essere l’occasione per un esame di coscienza più ampio. Si tratta di decidere che modello di Paese vogliamo essere. Sapendo che l’idea di chiudere le frontiere è un doppio errore: morale e pratico. Un errore che non ci possiamo più permettere.
Radici: Pensa che la futura classe dirigente in Italia avrà anche origini straniere?
Follini: Lo penso, lo prevedo e in un certo senso me lo auguro. Ma, ripeto, dipende da noi decidere se vogliamo dedicare i prossimi anni a cercare di fermare il vento con le mani, oppure se vogliamo fare in modo che quel vento sia propizio alle nostre fortune.