Radici: Non pensa che il dibattito sull’immigrazione sia eccessivamente polarizzato e prigioniero di una narrazione sfocata ?
Bentivogli: Sì, è così. Dominique Moïsi, in un saggio di qualche anno fa (Geopolitica delle emozioni), ha affrontato il tema di come le emozioni influiscono, alterandola, sulla percezione della realtà finendo per mettere in crisi le democrazie occidentali. L’immigrazione è un fenomeno epocale sul quale l’emotività ha indubbiamente un grande peso. Sentimenti di preoccupazione, ansia, paura, delusione, frustrazione, rabbia influiscono sullo stato d’animo della maggioranza dei cittadini, che poi una parte della politica strumentalizza. In questo modo il dibattito si polarizza e le persone vengono distratte dai reali problemi del Paese, a cominciare dalla crescita e dal lavoro. Ecco perché un slogan rozzo come “prima gli italiani” ha avuto tanto successo. Va detto che l’”incertezza della pena” e la concentrazione dei problemi di integrazione nelle periferie ha fatto esplodere in alcune aree problemi reali.
Radici: Come si fa a scoraggiare immigrazione illegale e fermare il traffico di esseri umani, senza abbandonare i migranti alle vessazioni e alle torture in Libia ?
Bentivogli: Innanzitutto riportando il dibattito intorno all’immigrazione dentro la giusta dimensione e uscendo dai luoghi comuni. Nell’UE, su oltre 510 milioni di cittadini, gli immigrati sono appena l’8.3%, in Italia si scende allo 0.7%. I megatrend sull’immigrazione ci dicono che la popolazione dell’Africa passerà dai 1.2 miliardi di persone a 4.4 miliardi nel 2100; almeno mezzo miliardo premerà per entrare in Europa. Se da subito, come Europa, non lavoriamo alla transizione demografica del continente africano, creando un sistema scolastico che ponga le basi per l’autodeterminazione, non ci sarà politica degli sbarchi e dei rimpatri che possa reggere. L’instabilità politica della Libia oggi non aiuta a risolvere l’emergenza, ogni misura in queste condizioni è destinata a reggere per poco. L’Italia, che è legata alla Libia e alla sua gente da una lunga storia, dovrebbe essere in prima linea per aiutare il popolo libico.
Radici: Cosa intende per integrazione?
Bentivogli: L’integrazione è un antidoto alle tensioni sociali, un processo che richiede umanità, comprensione e accettazione di un modello sociale che implichi valori condivise e norme interiorizzate da ogni membro della società. Un processo lungo che richiede tempo e misure inclusive, con interventi politici che mettano al centro la persona e il lavoro, unico strumento in grado di realizzare l’uomo ed elevarne la dignità. Non ci sono soluzioni facili e “di pancia”, se pensiamo di risolvere il problema chiudendoci e alzando muri, non curandoci dei disperati che premono alle nostre porte, faremo un errore di valutazione gigantesco.
Radici: Siamo davvero davanti a un’emergenza razzismo?
Bentivogli: Sì, credo che si stia scherzando con il fuoco. Gli episodi di razzismo ormai sono quotidiani, ma ad allarmarmi di più è il fatto che, invece di una condanna unanime, essi suscitino comprensione e che nella società sempre più si noti accondiscendenza. Se si incitano i cittadini ad armarsi, si applaude chi spara dal balcone, la barbarie non è alle porte, è già tra di noi.
Radici: Le pare legittimo che l’Onu voglia mandare degli osservatori in uno stato di diritto?
Bentivogli: Gli interventi messi in campo dall’Onu sono disciplinati dal diritto internazionale e dagli accordi tra gli stati che ne panno parte. È chiaro che un intervento ha senso se serve a mantenere e promuovere la pace e i diritti umani. Direi che ci sarebbe da fare di più in Africa, nel Mediterraneo.
Radici: Sa quanti sono i nuovi italiani? Glielo diciamo noi: 1 milione e 200 mila, di cui 200 mila solo l’anno scorso. Nessuno ne parla, a meno che siano atleti e vincano medaglie d’oro. Lei cosa pensa a proposito?
Bentivogli: In realtà non è così. Il sindacato ne parla e la Cisl, insieme alle altre confederazioni, è stata tra i promotori del riconoscimento della cittadinanza ai giovani figli di immigrati nati e cresciuti in Italia: un fatto di civiltà per il nostro Paese, che non ha trovato ancora legittimazione. Noi continuiamo a batterci, ma servirebbe una politica più coraggiosa su questi temi.
Radici: Che lavori fanno gli stranieri? Secondo lei, fanno solo lavori poco qualificati o anche specializzati e qualificati?
Bentivogli: Prima di tutto va sfatata la bufala secondo cui gli immigrati rubano il lavoro agli italiani: non è così. Gli stranieri svolgono per lo più lavori meno qualificati che nel corso degli anni sono stati abbandonati dagli italiani, soprattutto nei servizi alla persona, nelle costruzioni e nell’agricoltura. Sono lavori manuali, con remunerazioni modeste e con contratti spesso non stabili. Ma il loro lavoro vale comunque l’8,7 per cento del pil.
Radici: Le pare fondata l’affermazione di Tito Boeri: abbiamo bisogno di immigrati che paghino le nostre pensioni? O rappresenta un approccio filosofico sbagliato ?
Bentivogli: Sì, ha ragione Boeri. Non solo sul fronte pensionistico, ma per l’economia e la tenuta del Paese. L’Italia ha un tasso di natalità dell’1.3%, nettamente inferiore al 2,1% necessario a garantire che la popolazione non diminuisca. Il problema demografico, e quello connesso dell’invecchiamento, è stato però completamente rimosso dall’agenda politica. Ciò è preoccupate non solo ai fine della tenuta del sistema previdenziale, ma perché con la crescita dell’aspettativa di vita e una popolazione sempre più anziana avremmo bisogno di una visione di lungo periodo su welfare, sistema sanitario ecc. Invece In Italia guardiamo a malapena a domani. Ho sentito lavoratori dire, gli immigrati lavorano fino a cinquant’anni e vanno via portandosi la pensione, in realtà ne pagano buona parte e la lasciano qui in Italia senza beneficiarne.
Radici: Sa quante imprese sono state create dagli stranieri?
Bentivogli: Secondo il Rapporto Immigrazione e Imprenditoria curato dal Centro Studi e Ricerche Idos e presentato a fine 2017 le imprese costituite da stranieri sono 571 mila. Ma a mio avviso non sono tanto i numeri assoluti ad essere interessanti. Il grosso di queste aziende è ancora rappresentato da ditte individuali, ma sono in crescita anche le società di capitali e le startup innovative. Segno che col passare del tempo si va costituendo un tessuto imprenditoriale maggiormente articolato, nel quale le differenze tra “noi” e “loro” si fanno sempre più sfumate.
Radici: Che percezione ha delle seconde generazioni di immigrati nati o cresciuti in Italia?
Bentivogli: Nell’insieme si tratta ragazze e ragazzi che, pur tra mille difficoltà, danno molto e daranno ancora di più. A patto che li si metta nelle condizioni di poter studiare e di inserirsi in un contesto sociale favorevole e accogliente. Gli iscritti stranieri in Fim sono il 15%, di questi circa l’80% sono di seconda generazione e circa il 7% sono delegati e dirigenti sindacali, ragazze e ragazze che danno un grande contributo al lavoro e al sindacato,
Radici: Secondo lei che studi fanno? Solo istituti tecnici o anche i licei?
Bentivogli: Le nostre scuole, a partire dalle elementari, sono sempre più multiculturali. Certamente gli istituti tecnici oggi aprono ad una maggiore possibilità di trovare occupazione, anche attraverso la prosecuzione degli studi negli Its, nati nel 2008, nei quali gran parte dell’apprendimento avviene nei luoghi di lavoro attivando strumenti all’avanguardia. E infatti l’80% dei diplomati Its trova subito un’occupazione. I licei restano importanti perché in prospettiva non abbiamo bisogno solo di buoni tecnici, ma anche di chi sappia coniugare il patrimonio tecnico con un pensiero critico e umanistico.
Radici: Secondo lei, è una minoranza quella che frequenta l’università?
Bentivogli: Sì ma purtroppo il problema, non è la minoranza di stranieri che frequenta l’università, a mio avviso destinata ad aumentare: il vero dramma è che siamo penultimi in Europa per numero di laureati.
Radici: Secondo lei l’accoglienza, in Italia, è solo emergenziale o esistono altri modelli adottati o da adottare?
Bentivogli: Muri e filo spinato, nella storia dell’umanità, non hanno mai risolto i problemi, piuttosto li hanno creati. Invece andiamo a vedere quel che è stato fatto a Riace, in Calabria, dove si è sperimentato un modello straordinario di accoglienza e integrazione che funziona. Dovremmo partire da questi esempi virtuosi per capire che strada prendere. Accoglienza e integrazione sono l’unica strada da seguire, tenendo conto che siamo di fronte ad un evento epocale che richiede lungimiranza e politiche che guardano almeno ai prossimi cento anni.
Radici: Pensa che la futura classe dirigente in Italia avrà anche origini straniere?
Bentivogli: Sì, assolutamente. Nei Paesi europei che sperimentano da più tempo l’integrazione di quote rilevanti di popolazione straniera è già così. Il primo esempio che viene alla mente è quello di Londra e del suo sindaco Sadiq Khan, figlio di due immigrati pakistani. L’Italia è un Paese “giovane” dal punto di vista dell’immigrazione, ma non c’è dubbio che la linea di tendenza sia definita.