La giustizia egiziana è colpevolmente lenta. La politica italiana è approssimativamente inerte. Sono passati 19 mesi da quando l’attivista e blogger Patrick Zaki, 30 anni compiti a giugno, studente all’Università di Bologna, si trova in carcere al Cairo. Le accuse si sono sgretolate una ad una. Non più minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, propaganda per il terrorismo, per cui avrebbe rischiato fino a 25 anni di carcere. Ma «solo» diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese, un reato che gli varrebbe comunque una condanna a 5 anni di detenzione. Tutto per quel post pubblicato sul sito web Daraj in cui Patrick Zaki denunciava le percussioni a cui è sottoposta in Egitto la minoranza copta, a cui lui stesso appartiene.

Le condizioni di Patrick Zaki sono al limite, sia fisicamente che psicologicamente. Gli appelli per la sua liberazione in questi mesi si sono moltiplicati. Amnesty International ha raccolto oltre 175 mila firme per la sua scarcerazione. Lo striscione «Libertà per Patrick Zaki», campeggia su molti palazzi comunali. Spesso accanto a quello in cui si chiede la verità sulla fine di Giulio Regeni, il ricercatore italiano dall’Università di Cambridge ammazzato al Cairo nel gennaio 2016, per cui il governo del presidente Al Sisi non ha mai fornito adeguate spiegazioni.

Anche il Parlamento italiano si è mosso. Lo scorso 14 aprile il Senato ha approvato con 208 voti a favore, nessun contrario e 33 astenuti, una mozione in cui si chiede al governo di conferire a Patrick Zaki la cittadinanza italiana. La stessa mozione è stata votata alla Camera lo scorso 7 luglio, con 358 voti a favore e 30 astensioni. Dopodiché non è successo più nulla. Niente di niente. La giustizia egiziana, colpevolmente lenta, muove comunque i suoi passi. Martedì 28 settembre, una settimana esatta da oggi, Patrick Zaki tornerà in aula a Mansura, la città dove risiede la sua famiglia, dopo essere stato rinviato a giudizio per quell’unico capo d’imputazione.

Come nella prima udienza Patrick Zaki comparirà in manette in aula. Farebbe la differenza se apparisse davanti al giudice anche come cittadino italiano. Sebbene questo status, in caso di doppia cittadinanza, non gli consentirebbe la scarcerazione immediata, è chiaro che agli occhi della comunità internazionale, il doppio passaporto sarebbe un ulteriore elemento a sua tutela. Il governo italiano ha sempre detto di essere impegnato per la liberazione di Patrick Zaki, ma fino ad oggi si è fatto fermare dalle eventuali conseguenze economiche e diplomatiche, nei rapporti tra i due Paesi. Il giorno dell’udienza però si avvicina. Il 28 settembre è alle porte. Il governo di Mario Draghi si dia una mossa. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio batta un colpo. Non c’è più tempo.

Immagine: Gianluca Costantini