C’è una macchia nera nella storia dei Caschi blu dell’Onu. L’oblio non sarebbe riuscito a cancellarla. L’Europa, la vergogna europea, l’ha resa indelebile. La storia è nota. Nel luglio 1995 il contingente Dutchbat III aveva il controllo della cittadina di Srebrenica in Bosnia, definita area protetta dall’Onu, per la presenza di una popolazione di bosniaci musulmani. L’enclave, che doveva essere difesa da un contingente di 600 militari olandesi inquadrati nell’UNPROFOR (Forze di protezione delle Nazioni unite) venne lasciata alla mercé delle truppe serbe di Bosnia ed Erzegovina comandate dal generale Ratko Mladić. Ufficialmente la ritirata dei Caschi blu venne motivata dalla scarsità di armi e mezzi per difendere Srebrenica. Controverso il mancato appoggio aereo che non venne consentito dai vertici militari olandesi sul campo. In pochi giorni le truppe di Ratko Mladić, appoggiate da alcune formazioni paramilitari, massacrarono 8372 bosniaci musulmani, soprattutto uomini e ragazzi. Per questo genocidio, nel 2007 la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja ha condannato all’ergastolo il generale Ratko Mladić e a 40 anni di carcere il presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina Radovan Karadžić.

Diversa e molto più fortunata la sorte dei militari olandesi inquadrati nei Caschi blu che, di fatto, lasciarono compiere il massacro. Pesantemente accusati in patria e nel mondo per il loro ruolo passivo a Srebrenica, nel 2006 ben 500 militari del contingente Dutchbat III vennero insigniti di una medaglia dal governo olandese, a risarcimento degli attacchi subiti per il loro comportamento. Come se non bastasse, l’11 febbraio scorso lo stesso governo olandese ha ricompensato con 5 mila euro cadauno i militari di quel contingente di Caschi blu «a compensazione dei traumi psicologici subiti per aver assistito al massacro».

In questo modo il governo olandese vorrebbe silenziare per sempre le polemiche sull’operato dei militari, la cui posizione non è mai stata chiarita definitivamente

Anziché cancellare quella macchia, l’encomio e il successivo risarcimento economico di pochi giorni fa non fanno che riaccendere le luci sulla strage di Srebrenica e sulla reale efficacia dell’UNPROFOR, insignito nel 1988 del premio Nobel per la pace. Ma, a questo punto, la vicenda ci pone un altro interrogativo. In quella stessa zona passa la rotta balcanica dei migranti che cercano di entrare in Europa. Dovremo aspettarci tra qualche anno un encomio e un premio per i militari croati che, con metodi assai discutibili per usare un eufemismo, impediscono che i migranti lascino i campi profughi e gli accampamenti di fortuna nella neve, e attraversino il confine, invalicabile come un muro? Uno dei tanti muri che l’Europa e il mondo occidentale, solo a parole, dicono di condannare.