Tutti lo chiamano Simo, anche se si chiama Simohamed Kaabour ed è il presidente del CoNNGI, il coordinamento di 31 associazioni no profit. Un’organizzazione che è l’emblema del civismo delle nuove generazioni di italiani, nati e/o cresciuti qui. E lo si capisce, scorrendo i nominativi dei membri del direttivo, perché per la prima volta si va oltre la pratica delle prime generazioni di immigrati che costruivano comunità chiuse a seconda della nazionalità ed erano delle roccaforti, talvolta inespugnabili.
Nel direttivo ci sono cognomi africani, asiatici, maghrebini, latinoamericani che si concentrano sui propri progetti, invece di portare avanti solo le istanze legate alle proprie radici.
Il Simo, per dirla alla lombarda, è nato a Casablanca 37 anni fa e ha raggiunto i suoi genitori a Genova quando ne aveva 9, negli anni ’90, quando i suoi compagni di classe lo consideravano più che altro un bambino esotico e gli chiedevano se avesse dei cammelli. Il padre faceva il lucidatore e con un solo stipendio ha mandato 4 figli all’università. Il suo sogno era quello di diventare broker marittimo e invece si è laureato in Lingue straniere e poi ha fatto un master in politiche sociali e il mediatore culturale. Ha insegnato francese in una scuola pubblica e poi arabo in una scuola internazionale.
«Avevo un ruolo socio-educativo perché il mio background mi serviva ad aiutare gli studenti e fare da ponte con le famiglie e gli insegnanti. Per gli studenti stranieri, era ed è importante avere davanti agli occhi un modello positivo di un giovane che non è nato in Italia. Una molla per superare le barriere dell’integrazione, ad avere aspirazioni», racconta a NuoveRadici.World. E ad aiutare a prevenire la dispersione scolastica.
Simohamed Kaabour si è avvicinato all’impegno civile dopo un periodo di studio a Nizza, per l’Erasmus. «In Italia ero solo il marocchino e vabbè. In Francia ero l’italiano, in Marocco l’arabo italiano». Ed è stato allora che ho capito qual era la mia vocazione. Insomma, è vero che lui, come altri coetanei, ha doppie e nuove radici, ma è stato in quel momento che ha capito che bisognava lavorare in profondità sul tema dell’identità. «A Genova abbiamo fondato l’associazione Nuovi Profili per cercare di tenere insieme tutti», racconta.
Il CoNNGi invece è nato successivamente, dopo due anni di incubazione. per fare massa critica e lobbying. Perché, come abbiamo scritto più e più volte, le nuove generazioni avanzano, senza avere rappresentatività. E quindi se la creano da soli
Anche se il primo germe del coordinamento delle nuove generazioni è nato all’interno del ministero del Lavoro, nel 2014, con una call pubblica lanciata dalla Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, attraverso il Portale Integrazione Migranti. La call ha dato il via all’iniziativa “Filo diretto con le seconde generazioni”.
La loro mission? Semplice e maledettamente complicata in un Paese dove l’immigrazione si ferma agli slogan e alle diatribe sugli sbarchi, i centri di accoglienza, e le emergenze sull’illegalità. Li avete mai visti in televisione o sui giornali, come protagonisti della loro storia? In qualche partito?
No, eppure sono 31 associazioni che si sono unite e hanno creato un manifesto per fare lobbying con le istituzioni. il CoNNGi è nato solo un anno fa ed è l’emblema del cambiamento che vogliamo raccontare. Nonostante la miopia politica, CoNNGI lavora per promuovere un nuovo approccio alle politiche di inclusione e di partecipazione, che risponda più efficacemente ai reali bisogni delle nuove generazioni, per costruire e consolidare percorsi di dialogo, confronto e collaborazione con istituzioni e organizzazioni.
Sono italiani, e lo vogliono rivendicare in ogni quando e in ogni dove. Hanno doppie, triple radici e rappresentano il progresso di un Paese multiculturale e non vuole più restare nell’ombra
Sono presenti in 13 città italiane, parlano 33 lingue e si occupano di scuola, di lavoro, di cultura, di sport, di cittadinanza attiva e di cooperazione internazionale. Il loro manifesto è un decalogo di best practice. Dalla mediazione culturale a scuola alla promozione dell’internalizzazione del mercato del lavoro fino allo sport e al doppio lavoro culturale per conservare le proprie radici e rafforzare il legame con la cultura italiana. E battersi perché possano votare e un giorno magari anche essere eletti. Fra le associazioni si trova di tutto, persino una che si chiama Questa è Roma. Si tratta di un nuovo percorso. Una prova provata di ciò che stiamo dicendo da mesi. La trasformazione culturale procede velocemente e nessuno può arrestarla.